Dead Cat in A Bag
Late for a Song 2014 - Cantautoriale, Folk, Dark

Late for a Song

Quando hai un background vissuto e sudato così forte e radicato in te, è naturale trasporre ogni canzone in quello che conosci. Un disco bellissimo

Mi son seduto, ho messo su il disco, poi ho scoperto (chiedo venia, non li conoscevo) che il loro esordio era stato accolto dalla critica piuttosto bene. Ho recuperato il vecchio disco, e l'ho sentito. Poi ci ho riflettuto. Uno, due, tre giorni. E ora non so se sono ancora pronto, ma mi risiedo, e ci provo, ad essere pronto.

Cominciamo dalle fondamenta del progetto, che nasce 7 anni fa, a Torino. La formazione, ha un nucleo ora definito a 5 elementi e almeno altrettante partecipazioni su disco. Gli strumenti utilizzati invece sono circa un centinaio, e tutti decisaemente utili (caso raro) a definire questo mondo a parte, a ricreare un immaginario che ben conosciamo, un luogo dove siamo già stati almeno una volta se abbiamo ascoltato questo tipo di cose ruvide, crude, polverose e insudiciate. Come dicevamo prima, "Late for a song" è il secondo disco dei Dead Cat in a Bag, ed è impressionante la maturità e la padronanza già raggiunti nella scrittura, sia negli arrangiamenti che nei testi. I riferimenti son ben noti subito, la voce continua ad oscillare come un vecchio pendolo di un orologio a muro tra il roco omaggio a Waits e l'intensità profonda di Cave, utilizzata come guida narrante, un po' come quella che è venuta all'ultimo Cohen insomma. Il tono è sempre buio, tetro decisamente notturno, ma le sfumature son varie.

L'apertura, che ci introduce in punta di piedi in questo viaggio intercontinentale (verranno toccati il cuore dell'America e il blues, il Messico più mariachi, e tornando dalle nostre parti la Francia degli anni 30 e tutti i Balcani), è spinta dal banjo incerto ed esitante di "Not Even More" che ci presenta le prime chitarre western di "Nothing Sacred" e quella voce appunto, di cui parlavamo prima, dei cantautori di cui parlavamo prima, e il loro modo inconfondibile di raccontare una storia pesta e dolorosa. "Za pozno na piosenke" è invece dun valzer gitano che mette a ballare un vecchio dell'est solo e malinconico di fronte ai nostri occhi. Non male anche la reinterpretazione del classico "The House of the Rising Sun" inaspettata e sorprendente, ma quando hai un background vissuto e sudato così forte e radicato in te, è naturale trasporre ogni canzone in quello che conosci. "Trop tard per une chanson" è un altro episodio solo strumentale, ma a volte le parole non servono. In "It's a pity" troviamo invece una piccola perla folk/punk che ricorda i Gogol Bordello, ma con quel moog in più che ti fa muovere il piede e battere le mani.

Ho citato solo qualche esempio, ma per capire a pieno tutta la completezza del lavoro dei Dead Cat in a Bag c'è un unico modo, ascoltare tutto l'album per intero, più volte, perché ogni canzone ha un qualcosa da raccontarci, e anche così, non sono proprio sicuro che basti.

Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.