In una di quelle pigre giornate tipiche d’inizio anno, mentre tanti si ritrovano soli con se stessi a fare una lista di buoni propositi da dimenticare qualche settimana dopo, gli Own Boo si iscrivono su Facebook. E pochi giorni dopo mettono sul tubo il loro primo video, Edie. Funziona così, di questi tempi. Funziona che serve essere pragmatici, spuntare le caselle delle cose da fare, facendole, piuttosto che campare in aria discorsi vuoti, scuse e lamentele della sorta se me lo dicevi prima, se fossi più giovane, se avessi qualche anno in più.
Gli Own Boo sembrano voler interpretare al meglio i buoni propositi di concretezza che tutti ci ripromettiamo e poi lasciamo abbandonati sul 3 gennaio della nostra nuova agenda. Un ep omonimo di quattro pezzi registrati in presa diretta e senza troppe presentazioni nel Tup Studio di Alessio Lonati (Le Case del Futuro) e Pierluigi Ballarin (The R's). Bastano le tracce, infatti, per delineare questi forse cinque, forse ventenni, forse bresciani, ma con le quote rosa rispettate.
Si tratta di shoegaze, di suoni acidi ma fortemente ancorati alla melodia tanto da non suonare mai eccessivi, mai fuori posto. Come per altre interessanti realtà nostrane (Brothers in Law, Soviet Soviet, Be Forest), sono ancora una volta gli anni 80 (e la loro fine) ad ispirare questa nuova band. Si tratta degli anni 80 meno cupi, dei My Bloody Valentine meno disperati, dei Jesus and Mary Chain più incalzanti, quelli dei riff di chitarra che diventano tormentone da sé (ascoltatevi “Here with me”). Se si vuole arrivare a qualcosa di più contemporaneo, si potrebbero citare anche Kurt Vile e Ty Segall.
E non lo sappiamo che una (bella) voce femminile ha la capacità di riuscire a rendere tutto più suadente e languido? Beh, lo sanno anche gli Own Boo, che la riescono a dosare caricandola o rarefacendola all’occorrenza. A questo scheletro si aggiunge anche della sana psichedelia Seventies, giusto per un risultato meno definito, bensì più caleidoscopico e stanco. “Edie”, il primo pezzo dell’ep, l’incarna alla perfezione, contemplando dal ciglio di un burrone il buio della deriva dark che è sempre lì sotto, insidiosa, ma riuscendo per quasi quattro minuti a non cedere alla voglia di buttarcisi dentro. Tocca a “Gloom” andare oltre, diventare più cattiva per poi sciogliersi nel ritornello continuando a tenere sempre a bada la parte noise, fino ad arrivare a “Celebration”, la più liberatoria e spettinata delle quattro.
La forza di questi misconosciuti Own Boo risiede proprio in tutto questo. Un mix breve ma ben dosato di ottimi spunti, buone intuizioni e una freschezza tipica di quei vent’anni che poi ti volti a guardarli e non li trovi più. E mentre noi abbiamo già abbandonato il proposito di smettere di fumare o di andare in palestra tre volte a settimana, loro ne hanno già concretizzato uno, potenzialmente bello grosso. Vediamo se in una prova più corposa lo confermeranno.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.