È una gran fortuna non ritrovarsi Tying Tiffany come dirimpettaia: è talentuosa, affascinante, sexy e poi si ciba di elettronica, di quella buona! Conoscendomi, so già che mi ritroverei giorno e notte a miagolare davanti alla sua porta, senza un barlume di dignità. Meglio così allora. E sono anche sicuro che se mi capitasse – incrociandola per strada – di chiederle di parlarmi un po’ di lei, del suo passato, del suo micromondo, beh, senza proferir parola, lei mi allungherebbe il suo “Drop” come lapidaria risposta e si dileguerebbe nel nulla. E farebbe bene. Già, perché alla fine il quinto album dell’ex sucide-girl altro non è che una sorta di self-portrait elettronizzato dove è il bianco sporco di una corroborante solitudine a costituirne emozionale scenografia di fondo nonché principale leitmotif concettuale.
L’artista padovana sembra davvero rannicchiarsi in posizione fetale dentro la sintetica sacca placentare di questa sua nuova creatura – la quinta della sua carriera – lontana da tutto e da tutti, a sonorizzare il suo personalissimo stream of consciousness attraverso le frequenze di un’elettronica trasversale che succhia luce dalle sofisticatezze del POP per dissolvere il buio pesto che fu di “Peoples Temple” (2010). Un’elettronica pervasiva che – a differenza dei dischi precedenti – annichilisce qualsiasi altro vagito strumentale (salvo flebili chitarrine sparse qua e là) e ricodifica con stilosa freschezza il dizionario ambient-elettronico degli anni ‘80/’90: tra i patterns synthpop di “One second” ti sembra di risentirci le Ladytron come assorte in canto propiziatorio, tra quelli acid-house di “Neon paradise” la Crystal Waters dei bei tempi andati mentre l’umbratile post-wave di “Spin around” e “A lone boy” fa pendant con lo slow motion bristoliano di “Deep Blue River”; ma è nell’insieme che ti accorgi come persino vocalizzazioni anemiche e filiformi, come sono poi quelle di Tiffany, riescano ugualmente ad emanare fascinoso magnetismo quando magistralmente collocate dentro un “sonico altrove” saturo di acid house, I.D.M., darkwave, chillout, electropop, dancefloor e trip-hop, come a voler banchettare in un colpo solo con 808 State, The KLF, Zen Paradox, The Orb, Depeche Mode, The Frozen Autumn, Röyksopp, e Portishead.
Insomma, brani a doppio binario – e qui sta il loro valore aggiunto – che brillano ognuno di luce propria pur se sganciati dalle rispettive tracce vocali, a dimostrazione di una completa autosufficienza orchestrale, forse ereditata dal didascalico project side di Tiffany insieme al producer Lorenzo Montanà (T.T.L.)
Probabilmente il suo slancio creativo più emotivo e panoramico. Senza dubbio il migliore. Forse lo è anche per la stessa Tiffany, perché poi, alla fine, mica è vero che per una madre tutti i figli sono uguali.
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