Capita di incontrare una melodia, ascoltarne le parole e sentirla fondersi con i propri pensieri al punto di non distinguere ciò che è intimo da ciò che è esterno. Così questa musica diventa una proprietà personale da custodire gelosamente, come colonna sonora dell’evoluzione di personali stati d’animo e subentra un atteggiamento egoistico che vorrebbe che quei suoni non appartenessero più a nessun altro. E’ un potere che la musica dei The CircleSouth possiede. Ascoltarli è stato un innamoramento. Fin dalla prima traccia prende forma un’atmosfera intensamente romantica e riflessiva che scatena suggestioni cariche di aspettative evocate da un cantato effettato e robotico che ipnotizza all’arrivo del finale dove la voce quasi annullata dall’harmonizer si fonde con suoni lievemente disarmonici. Un’attesa immobile che si sblocca nel corso del secondo brano con un saggio di batteria e riff di chitarra in stile Depeche Mode per proseguire in “December in Kamchatka#2” con il basso a sostenere un tempo di batteria scomposto e armonie allungate con un’attitudine doorsiana come indugiando sullo svelamento di un segreto. Ma lo stupore non ha il tempo di adeguarsi che già si trasforma in compiacimento confermato dall’ascolto di trame musicali ricercate, meditate, impastate in maniera sempre differente: inserti di batteria elettronica vagamente jungle, effetti sonori acquosi, voci panpottate, artifici sintetici che incontrano stesure di pianoforte classiche, eleganti, antiche. E ancora i colori che si addensano e sfumano in “Childhood memories” che si apre su una voce stralunata per rischiararsi nella dolcezza del finale, i paesaggi che si illuminano e si adombrano all’improvviso, interpretati da trame musicali leggere fino al brano “//le couler” impreziosito dalla voce di Amaury Cambuzat degli Ulan Bator che si riscalda in un crescendo di batteria, chitarre e suoni synth che cambiano continuamente frequenza. L’attenzione e le sensazioni non si attenuano fino agli ultimi minuti dell’ultima traccia che chiude il cd con un necessario e rassicurante intreccio di archi e pianoforte riverberato e in sottofondo un nostalgico fruscio di vinile. E non si attenua l’approvazione verso musicisti così giovani che hanno saputo farsi sfiorare, senza farsi possedere, dagli insegnamenti di Depeche Mode, Radiohead, Sigur Ros, Underworld… I The CircleSouth hanno un immaginario da condividere, che guarda al passato e stimola attese sul futuro. Viverne una parte è stata un’affascinante esperienza. Auguro loro di potermi “tradire” col maggior numero di ascoltatori consenzienti e invaghiti possibile.
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La recensione promo 2002 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-04-15 00:00:00
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