Il ritorno delle castagne, ancora all'insegna del folk più leggero e luminoso.
Avrei voluto raccontarvi di un'associazione d'idee più alta, ma la verità è che ascoltando quest'album mi è venuta in mente la scena finale di “Roswell”, quando i giovani alieni con consorti al seguito si danno alla macchia per le strade sconfinate d'America su un furgone Wolkswagen. Era una scena molto hippie. Dice, che c'entra? Non lo so, o forse sì: quella sottovalutata serie mostrava meglio di tanti classici teen drama il sentimento di estraneità e – ehm – alienazione dell'adolescenza. Che è lo stesso genere di sentimento risvegliato da un certo tipo di musica: quella sensazione di essere fuori posto, diverso da tutti, quella voglia di andare ovunque ci siano grandi cieli e strade vuote da riempire di amore ed esperienze memorabili.
Che stiano in cameretta o sulla strada, i Pocket Chestnut diffondono sempre nell'aria quel fresco mix di tristezze e speranzosità adolescenziali, nerditudine, romanticismo, inquietudine e serenità che tradizionalmente è in grado di trasmettere il buon indie-folk più “casalingo”. I nomi da fare sarebbero sempre gli stessi e quindi non li farò, basta dire che i Pocket vanno avanti per la loro strada fatta di suoni volutamente grezzi e cantato sgranato, di ritmi un po' stradaioli un po' introversi, di America vista dalla provincia, di scenari western (“Spread My Love”) e fiere agricole (“Now”), e lo fanno sempre (o quasi: “Cast Away” è un po' indecisa e poco a fuoco) con scanzonata bravura e una “big, light, shining soul”.
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La recensione Big Sky, Empty Road di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-04-10 00:00:00
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