“Neon” – come del resto tanti altri debutti del nostro underground che lo hanno preceduto – è il classico disco che avrebbe potuto davvero lasciare il segno se solo avesse avuto alle spalle un produttore artistico con le palle quadrate. Così non è stato, purtroppo, e la band meneghina dei Donnie Lybra, orfana di uno scafato regista che ne valorizzasse le potenzialità melodiche e ne ottimizzasse i suoni, si è ritrovata ad assemblare i suoi cinque brani un po’ troppo istintivamente, all’inseguimento di un problematico compromesso stilistico tra le varie anime del gruppo.
Tanto di cappello al sempre encomiabile DIY e al sempre condivisibile disagio generazionale vestito di rock, ma qui accade che, nonostante i ripetuti ascolti, risulti piuttosto faticoso focalizzare al meglio i contorni evocativi di alcune (belle) aperture melodiche o la piacevolezza orchestrale di alcuni (suggestivi) passaggi, dispersi tra emo-malinconie, new wave all’italiana, indie-rock albionico e certe piccole luminescenze strumentali che ricordano da lontano i Radiohead pre-“OK Computer”.
Il post-rock confuso e decaffeinato della conclusiva “Il tempo (per non capirci)” riassume al meglio, suo malgrado, la bellezza sbiadita di questo EP, a fatica visibile come il luccichio argentato di un pesce appena percepibile dalla superficie.
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