Fra un lavaggio e una centrifuga, canzoni-non canzoni fra rock e teatro.
Nel piccolo mondo antico, quello analogico, le donne del popolo andavano a lavare i panni al fiume, e si raccontavano i fatti, o cantavano per alleggerire la fatica, mentre strofinavano il sapone sugli umili vestiti. Oggi, quelli che hanno la casa troppo piccola per la lavatrice vanno alla lavanderia a gettoni, e non parlano molto con gli altri (ah, gli smartphone, i tablet, ah, quando ci si guardava in faccia!) e sarebbe ben strano vedere qualcuno che per ingannare l'attesa si mette a cantare. Semmai, ascolterà qualche canzone con l'iPod.
Forse ascolterà canzoni che parlano del piccolo mondo di oggi, che se ci pensi bene non è poi così diverso da quello di ieri: ci sono ancora i poveri e i disperati, gli uomini stanchi, ci sono ancora, al di là del digitale, gli uomini. Che pensano, amano, soffrono, vivono. Quello che cambia è la forma, il modo di raccontare e di cantare (o non-cantare). Nella loro lavanderia, le storie di miseria e desolazione i PDMA le raccontano con (tante) parole buttate fuori drammaticamente, nel senso più classico del termine – “riferito alle arti drammatiche” - alla maniera del cantautorato rock più ruvido, scarno ed elettrico, quello di scuola Massimo Volume, per farla semplice.
Un mondo rumoroso fatto di cemento, discount, uomini stanchi, solitari e pazzi, dipinto con il tratto postmelodico e postteatrale e postcantautorale di uno che parla con lo spirito di Nick Drake ma lo fa usando una lingua diversa, la lingua di un'altra epoca, in cui tutto è cambiato ma molto, troppo, è rimasto antico.
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La recensione Canzoni da Lavanderia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-06-23 00:00:00
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