Processioni lente di suoni echeggianti ed eterei riempiono tutto il nuovo ep di Perry Frank, sei pezzi di pura psichedelia chill-out e trasognanza. Suoni piuttosto omogenei, delay e riverberi a mani basse, atmosfere leggere, poco beat a segmentare le tracce, questa la ricetta basica di The Neptune Sessions. Le prime due tracce sembrano una la ripresa dell'altra, fatte di suoni elettronici molto raffinati, la melodia cresce piano ed ha un incedere stoico, l'uomo ha messo il suo piede per la prima volta sulla luna ed ecco la colonna sonora perfetta.
"Real Alcazar", terza traccia del disco, riporta facile a mondi arabeggianti, arpeggi di sitar sntetici, zufoli svolazzanti e ritmica di tamburelli, come d'incanto si è nel deserto avvolti da drappi bianchi; tutti i serpenti alzarono a palla per sentire la grande ballad. In "ParcGuell" sono le lunghe note di chitarra slide a far viaggiare la mente, lo spazio si dilata, l'aria si raffredda; le sequenze melodiche sono ripetitive quasi ipnotiche ma tutto è leggero e avvolgente, viene voglia di ascoltarle all'infinito, come per la canzone che segue, "Winter in June", dove tutto si smussa ulteriomente se è possibile, con le chitarre acustiche a scomparire dietro le arringhe morbide degli effetti synth, tutto è tiepido ed emozionante, anche ad occhi aperti.
Gli ultimi giorni di settembre chiudono l'estate, chiudono anche il disco di Perry Frank con grandi doti da ipnotizzatore, "Last September days" non si discosta dalla carreggiata imboccata, il disco si conclude senza colpi di scena ma semplice, dritto, omogeneo, forse una piccola accelerata da parte del produttore sardo avrebbe fatto rialzare i peli delle braccia ma non c'è amaro in bocca. La complessità del lavoro supera decisamente la prova del secondo ascolto, un taglio sereno e onirico dalla prima all'ultima canzone, senza clamori ma decisamente di ottima fattura. La calma è una virtù dei musicisti forti.
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