Trio di cover surf, che ruba dai classici e dai film. Buon progetto che stavolta ha anche un inedito
Il surf può trasformare tutto. Può rendere improvvisamente appetibile anche il motivetto di Tetris e avvolgere di gusto vintage anni 50 la sigla del Pranzo è servito, per chi se la ricorda. O la altrimenti terribile musichetta di Benny Hill. Questo fanno con le loro cover i Monaci del Surf, band mascherata in arrivo da Torino (dal vivo hanno anche dei kimono), che ha scelto un genere come bandiera. Sono al loro secondo disco e c'è sempre la stessa voglia di divertirsi, suonando gran bella musica.
Spaziano dalla dance di "Better off Alone" (se la sentite, la riconoscete al volo. Fatelo), rendendola figa, a classici come "Day-O" o "Sway (quien serà)", che ci riportano verso quel tex mex che poi fa tanto Tarantino. E a cui non si può non voler bene. C'è anche "Sweet dreams", sempre tetra e un po' cattiva anche in questa versione, e il tutto è mixato con frammenti di dialoghi rubati a film o telecronache di partite (che si sentono ad esempio in "Stadium", la sigla della famosa trasmissione tv Domenica Sprint). Coverizzano pure qualcosa di rock più sporco, come "Have love will travel" di Richard Berry, con cui si sono cimentati persino pezzi grossi come i Black Keys.
L'unico inedito è "Qué viva la fiesta", talmente manieristico che uno potrebbe scambiarlo per uno standard. E' il singolone che funziona, lanciato nelle radio e assoldato anche per una campagna di una nota marca di tequila. Mentre la chicca del disco è sicuramente "Teach me tiger", sensuale canzone del '65 di April Stevens, qui interpretata dall'ammaliante Levante. Altri cameo, insieme a colleghi musicisti della scena torinese, li fanno Paolo Parpaglione e Gianluca "Cato" Senatore, rispettivamente sassofonista e chitarrista ex Africa Unite e poi Bluebeaters: suonano in "Senza fine" di Gino Paoli, riarrangiata in versione ovviamente strumentale a chiudere con passione e leggerezza l'album.
Insomma, un esperimento gradevole, ben fatto e di alto livello. Che si apprezzare nonostante non sia l'idea più originale del mondo: prima di loro ci hanno già provato altri, dai Bluebeaters prima maniera fino a progetti decisamente più underground e di classe come i Calibro 35. Qualche inedito in più ci stava tutto, infatti, ma il messaggio più importante è che sì, le cover si possono fare. Ma te le devi scegliere con intelligenza e metterle dentro a un progetto da inseguire. Monaci, aspettiamo di vedere come finisce la trilogia.
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La recensione MONACI DEL SURF II di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-04-09 00:00:00
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