Esagerato, teatrale, decadente e al tempo ridondante di lustrini e mascheramenti luccicanti: Johann Sebastian Punk rimanda istantaneamente a David Bowie, l’attitudine glam, il celarsi dietro un’altra identità, gli esperimenti e l’irriverenza, e su tutto una presa originale, il saper caricare anche i suoni più ovvii del proprio umore, della propria visione musicale, di un segno distintivo e un gusto estetico del tutto personali.
“Vernal Equinox” è splendida, mutevole nel suo atteggiarsi progressive e facile al cedimento orchestrale, agli archi e ai fiati, senza tralasciare il pop, e barocca nei crescendo e sofisticata e altera, e io non posso che abbandonarmi all’eleganza rinascimentale, ai tessuti sgargianti e agli occhi bistrati in modo malinconico, e la ascolto tre volte prima di andare avanti: da una canzone, cosa vuoi di più se non il desiderio di rimetterla da capo? C’è il piglio punk di “Yes, I Miss the Ramones”, ma tutto continua a scintillare e pure il surf pare dilatarsi tra i banchetti di un moderno Luigi XIII, tra parrucche che assumono tinte shocking e una sorta di citazionismo generazionale che squarcia le epoche e mescola passati con fare diligente; c’è la ballata struggente (“Barber’s Shops”) che ricorda le AOR band degli anni ottanta, e la bellissima, eterea e sinfonica “The Well-Shorn Moufflon Paradox” che prima abbraccia e poi ammicca coi suoi cori e i cambi e poi anneghi definitivamente in un oceano di suoni che non lasciano libero neppure un angolo: e i generi non esistono più, soltanto un marea montante di strumenti che gonfia ogni brano, che riempie ogni spazio, che aggiunge e moltiplica al massimo ogni cosa.
“White” sfiora sponde coldwave, fredda e profonda e immensamente triste, e mantiene il suo sguardo doloroso pure nei due minuti finali di effetti e distorsioni, “Rainy Spell” è un fulmineo innamoramento sul finire degli anni sessanta, è una notte che riserva sorprese a chi osa, è pop psichedelico che cambia colore ai vestiti e all’arredamento, e come chiudere se non con “Enter” che possiede tutta la magia, il gusto eccessivo, la potenza dell’atto finale.
Coprodotto da Beatrice Antolini, “More Lovely and More Temperate” è un disco ricco, voluttuoso, volutamente esagerato, teatrale e decadente, ma soprattutto è bello, intrigante, seducente. In anni di affannoso lavorio attorno al minimale e al lo-fi, Massimiliano Raffa (aka Johann Sebastian Punk) e i suoi degni sodali puntano all’esasperazione del suono, alla grandiosità, al kitsch e a una commistione di generi che paiono annullare sotto il comune denominatore della lotta alla sobrietà: è il trionfo dell’eccesso, è il dominio dell’estetica decadente, ma è, soprattutto, una scelta vincente.
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