"Io sono stato punk prima di te" è il claim da nonnismo rockettaro che il giovane musicista o il semplice ascoltatore si sente ripetere non appena alza la cresta. I Kali Yuga ci propongono otto nuovi pezzi con dentro la voglia e l'entusiasmo dei novizi ma con lo spessore e la maturità di chi suona punk-rock dai primi anni '90. "KY" è un disco bello, potente e complesso.
La band siciliana riformatasi nel 2012 dopo tredici anni di stop mostra tutte le faccie del rock, aprendo anche una finestra sulla melodia US californiana, anche se il laccio più stretto resta alle caviglie di Iggy Pop, l'interpretazione vocale di Bizio Rizzo ne è prova.
Così si attacca con "9.04 (Here She Comes)", un basso disegnato col righello che sorregge bello pieno le chitarre vaporose, i leggeri tremolii fanno battere il piede, è tutto così figo che pare di stare seduti in una Cadillac a tutta velocità, con gli occhiali da sole enormi a guardare il sole che sorge. La seconda traccia s'intitola "B Love S" e sembra una ballad dei Manic Street Preachers, potente e lenta al punto giusto, con i piccoli assoli a scavare condotti d'aerazione nel muro di chitarre impastate. La testa ondeggia automaticamente, il coro è inevitabile, fa bene al cuore sentire tanta compattezza in un una sola percezione di suono. C'è una sorta di classicità in questo disco, di canonicità rock ai limiti del banale, ma benigno, le melodie, le ritmiche, le strutture dei pezzi scolpiscono un compendio in otto capitoli su come si suona il rock'n'roll: pezzi come "Where I Used To Go" sembrano dire:"Se nasci con i cromosomi K e Y sai esattamente cosa fare nella musica e ti riuscirà bene".
Quando inizia "Idols" invece, ci si chiede se non sia partito per sbglio "I Want You So Hard" degli Eagles of Death Metal, con quell'unica nota di piano sotto al riff che ti cade nell'orecchio come una goccia torturatrice e ti incatena al brano. Le vibrazioni sono costantemente positive. "Drunk and Sad" mostra il lato insano della musica dei Kali Yuga, l'interpretazione riesce a dare la nausea da sbronza anche senza aver toccato bicchiere, ogni strumento sorregge l'altro col braccio attorno al collo, e si porta a casa la pellaccia anche stavolta, sulle ultime note trascinate ci si sbatte a letto biascicando che non toccherete mai più l'alcool. Sì certo.
Il passaggio successivo è quello conclusivo, e la band palermitana si congeda con due pezzi diversissimi uno dall'altro, "So Are You" è il pezzo più pop-rock che potessero concedere, la leggerezza prima dell'hard noise finale. "Siren" è uno sfogo vero, reale, il tentativo di perdere la voce urlando coi pugni chiusi in una stanza al buio. Stupisce la mutazione del cantato, feroce e tagliente come non era stato finora, forse il vero spirito KY si palesa proprio qui: Kali Yuga nella cultura vedica è l'era della discordia e dell'ipocrisia, ma da qualche parte si dovrà pur espiare (attraverso la musica del diavolo perché no?).
Gli ultimi due minuti del disco sono qualcosa di molto vicino all'inferno, qualcosa che solo chi c'è stato può capire, e solo chi è riuscito a tornare da lì può raccontare: i Kali Yuga sono tornati, come se i tredici anni di silenzio non fossero mai esistiti, la voglia e la bravura hanno gli stessi connotati così nettamente puri nella concretezza. Dannati vecchi punk.
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