L'attitudine è la stessa dell'esordio del '96, un cantautorato scuro, dove il ruolo della prima donna è affidato alla chitarra, dove la regola prima sembra essere una sola: lamento e rancore. La denuncia delle molestie alla vita che vengono subite ogni giorno volenti o nolenti viene fatta attraverso un punk vintage, le sonorità dei Marlene Kuntz ma andandoci piano, le figure retoriche degli Afterhours ma col freno a mano tirato. L'handicap di partenza sembra essere proprio questo: cadere nella retorica musicale di vent'anni fa, voler ricreare un immaginario già barcollante all'epoca (dal punto di vista dell'innovazione) e volerlo far passare per ancora attuale, non ci caschiamo.
Poco attraente anche nei testi: quelle che canta Brian, ora aiutato anche dalla voce femminile di Patrizia (nota di freschezza la sua), sono ondate di rabbia probabilmente emotivamente sentite ma anche grazie ad imprecisioni nell'intonazione risultano fiacche e non fanno presa sull'orecchio, tutta la foga che si intendeva riversare nei pezzi, scivola via soffocata.
Il brano che spicca di più per qualche piccolo slancio di originalità è "Bisbituri", con un beat nella strofa con una parte campionata al contrario, unito al piccolo arpeggio e al sottofondo synth, fanno da sfondo ad un cantato però decisamente non all'altezza. Ad annebbiare ancora di più questo "Orizzonte in Clessidra" c'è la registrazione home made style, inspiegabile per una band in attività dagli anni '90, forse i Garage 29 non hanno mai veramente pubblicato un disco con i requisiti minimi di ascoltabilità richiesti dall'utente medio ma che si vuole bene. Ciò che si salva in questo lavoro della band milanese è la tenacia, che non deve però diventare ossessione compulsiva, ad un buon album ci si può arrivare, magari guardandosi un po' attorno, ascoltando cose nuove e trovando uno studiolo col fonico capace.
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