I dread sono andati, l'anima black no.
“All'oro che luccica preferisco un po' di blues, non vado nel mainstream, non sono neanche street, underground, radical chic, reggae, r'n'b, né ska né rocksteady, né jazz né bluebeat, boogie-woogie. Scrivo canzoni”.
C'è poco altro da aggiungere alle parole che lui stesso usa per definirsi, anzi per non definirsi: Anansi scrive canzoni. Ed è evidente che non ama rinchiudersi nei confini di un genere. Si respira una piacevole aria di libertà creativa – chissà quanto dovuta all'amaro, ma forse rigenerante, abbandono del percorso mainstream – in queste quattordici (Sì, quattordici. Troppe? Un po') canzoni. Il colore black è sempre dominante, anche se non mancano ispirazioni di più o meno puro pop italiano (“Ninna nanna” sembra un pezzo dei Tiromancino, “Portami via di qua” è un Ben Harper risciacquato nella Latina di Tiziano Ferro), ed è declinato più o meno in tutte le tonalità: c'è il blues, appunto, nella già citata “Preferisco il blues” e nell'”Outro” strumentale, ci sono r'n'b, soul, rap, reggae, funky, roba “giovane” (il featuring di Ghemon in “Inshallah”, “Un'isola” che ricorda il Paolo Nutini più pop) e senso delle radici (in “Un quarto di un quarto d'ora” si cita Marvin Gaye). Forse, in effetti, Sanremo non era il posto giusto per lui, anche se una notorietà più ampia non sarebbe certo immeritata.
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La recensione Inshallah di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-10-20 00:00:00
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