Avremmo potuto liquidare “Vieni via” come un concept album i cui contenuti ruotano attorno alla figura di Pier Vittorio Tondelli e alla sua opera prima, “Altri libertini”: una tentazione giustificata da alcuni titoli inseriti in scaletta, piuttosto espliciti al riguardo. Questione di legami, è evidente, di riconoscenza, di spiegare a chi ascolta che un libro può salvare la vita. Tanto più che Leo Folgori e Tondelli sembrano agire in simbiosi: una voce al catrame si confonde con gli echi dello scrittore di Correggio, se ne vanno via (appunto) insieme, si gettano nelle strade abbandonandosi alla vita, alla ricerca del desiderio. E fanculo la ragione.
In “Autobhan”, non a caso titolo di uno degli episodi contenuti nel già citato “Altri libertini”, il cantautore romano si impossessa di uno spicchio di racconto, lo canta con l’aiuto di Marzia Stano e lo fa suo, integralmente o quasi (“politologhi” compreso, mentre “bucati e forati” diventa “nasi forati” e “lettristi” si trasforma, chissà come mai, in “letteristi”), ed è come se fosse una dichiarazione di dipendenza. Che si esplicita in un milieu abbondante di personaggi ai margini: risponde presente persino Bibo (altro personaggio tondelliano), oltre a un contorno di pazzi, assassini, senegalesi romantici, che donano una collana “per un buon libro e una bevuta”. Leo Folgori li inserisce tra i suoi tasselli, li fa muovere tra sonorità acustiche e incursioni elettriche, all’interno di echi morriconiani e spruzzate country. Ne escono fuori dodici canzoni dall’imprinting cantautorale, belle ed espressive anche quando si parla d’amore, e se in qualche (raro) passaggio a vuoto i testi non convincono del tutto, ci pensa una band ispirata e brava a destreggiarsi tra cupezze evocative e slanci di leggerezza improvvisa a coprire la falle.
Tondelli, certo, ma concept-album proprio no. Perché “Vieni via” è anche un omaggio, sia pur implicito, a Fabrizio De Andrè, alla sua poetica, al suo modo di raccontare gli ultimi e le loro vicende umane. A questo punto potremmo farla lunga, tirare fuori metafore e parallelismi, invece è sufficiente ascoltare il modo in cui la parola “vita” esce da “Il giorno sta passando”. Ci siamo capiti, vero?
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