Dominato da voce e chitarra, “Inverni” è un giro lieve tra le nuvole, una passeggiata senza mete precise per pensare.
Dove finirà tutto questo dolore, dove riuscirò a nasconderlo se è ancora estate e sono scoperta, nuda al sole, facilmente vinta. Sembra di essere esattamente nel punto in cui non puoi fermarti né andare avanti, un limbo che ha in sé l’abisso e necessariamente la rimonta al tempo stesso: bisogna credere che sia così, è la dinamica dei giorni che disegna un su e giù di emozioni, e non posso congelarmi in posizioni di eterna sconfitta. Eppure oggi la musica mi avvolge nell’istante della resa, suona di stagioni lontane ma raggiungibili con un passo, che siano i piedi o la mente a farlo non importa, e il sottile, profondo e malinconico piglio di Hibou Moyen (al secolo Giacomo Radi), col suo mood da cantautore che ha visto e vissuto e sosta nel limbo per raccontare, riesce a sciogliere certi nodi interiori che parevano inaffrontabili.
Dominato da voce e chitarra, “Inverni” è un giro lieve tra le nuvole, una passeggiata senza mete precise per pensare, pensieri dolci e tristi e piccoli, quelli che abbiamo tutti, sempre, che sembrano macigni ma se ne abbiamo il tempo possiamo considerarli nella loro reale sostanza: il dolore, quello quotidiano, spicciolo, dalle giustificazioni appuntabili, ecco, quel dolore non può che farci bene.
Tra morbidezze, arpeggi, contorni dilatati eppure definiti, si muovono i nove brani di quest’album, e già “Non Ci Toglieranno i Temporali” distende i nervi, scioglie il collo ma non cancella lo spleen, lo rende soltanto più chiaro, e so che posso affrontarlo: saranno gli archi, i colori che cambiano, l’attesa della pioggia, ma so di essere più forte. “Grandine” è una finestra aperta sulle luci e l’oro, e con assoluta leggerezza recita “Tu non sei il mio grande amore, io non lo sono per te”, tra atmosfere country e suggestioni a stelle e strisce, “Skone” e il suo crescendo percussivo per trovare il graffio in gola e la rabbia, fino a “Non Estate”, che ha la calma della neve intatta e il pudore di un sogno silenzioso.
Dove finirà tutto questo dolore non lo so, so soltanto che in questo spazio, sospeso tra l’ultimo fallimento e grandi progetti per il futuro che rimangono sempre in testa e lì s’addormentano, ci sono dischi capaci di sciogliere nodi, avvicinare a sè, e far sì che tutti quei pensieri sparsi e cupi diventino sassolini da portare in tasca, per ricordarne il peso e, al tempo, per lanciarli nell’acqua e osservare la magia dei cerchi che sanno produrre.
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La recensione Inverni di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-08-22 00:00:00
COMMENTI (3)
Ottimo esordio. Pathos e voce intensa con arrangiamenti essenziali.
Bellissimo anche il video di Grandine
youtube.com/watch?v=Oft5Jjn…
Molto bene, Inverni rende piacevolmente l'idea di un folk nostrano di qualità. Io quoto.
Un esordio il cui ascolto risulta estremamente piacevole e scorrevole, in quella veste semi acustica che, però, sembra piu una necessita che una scelta.E' un po con un corpo ben fatto(bella la voce, che si avvicina a edda,buoni i testi e le melodie) vestito perennemente in maglietta e bermuda:va bene per andare al mare, ma non per giocare a palle di neve. Se per alcuni pezzi la veste elettroacustica puo essere sufficiente , per altri è decisamente un limite che lascia l'amaro in bocca. Un arrangiamento meno scarno avrebbe potuto fare di questo esordio un album a tutto tondo e non un semplice "buon inizio". Buoni esempi possono essere Fink e yoav capaci, avendo le stesse prerogative, di arrangiare i propri pezzi senza che la veste elettroacustica sembri una mancanza di alternative, piuttosto che un (inutile?) dogma. Aspetto la prossima uscita, ma nel frattempo mi "accontento" di questa.