Sono al loro terzo mini cd i cremonesi Valery Larbaud, nome prestato da un critico letterario francese dell’Ottocento. Caratteristica principale e distintiva del lavoro del gruppo consiste nell’essere un elaborato di contrasti musicali ed emozionali, associando intenti cantautorali madrelingua ad un rock d’importazione dai toni dark a tratti piuttosto duri ed incalzanti. Il tutto assemblato per dare vita a convincenti melodie addolcite dalla presenza del piano, strumento che vela di sognante malinconia ogni pezzo, in contrasto con la chitarra, spesso distorta, cui è lasciato il compito di indurire le atmosfere. I testi, in italiano, sono poco prosaici e per niente banali, contraddistinti da periodi brevi e parole molto evocative che esprimono immagini tanto chiare quanto indefinite, e godono di una propria autonomia lirica.
Gli stessi trovano espressione nella robusta voce di Diego che, con estremo coinvolgimento ed ottima capacità interpretativa, tra il recitato ed il cantato, concretizza ritratti di inquietudini e debolezze diffuse, in un continuo e decadente essere in bilico tra un profondo male di vivere - consapevolezza dello stesso ma in extremis speranza ed intima voglia di risalire.
Molto appassionante, e forse la più ‘compiuta’, è la terza traccia, “Un segno”, scandita da un’energica sezione ritmica solcata da una graffiante e ruvida chitarra in duello con un autorevole piano, e gli interventi vocali perfettamente dosati ed incastonati nell’insieme strumentale. Atmosfere gotiche per “Dublino”, con il piano in lontananza a forgiare una dimensione onirica, mentre in “Rovi di rose”, dal testo molto poetico, affiora una venatura pop incattivita da un’ostinata chitarra metallica, che ha il sopravvento nella sincopata “Quella sera”, inasprendo anche le dolci melodie pianistiche.
Sensibile il tentativo di creare un proprio stile, con risultati persuasivi in questi quattro pezzi, in particolare grazie alla poco confondibile voce ed al supporto pianistico. Direi che è stata intrapresa una buona strada per rinvigorire con raffinatezza il rock ‘in italiano’; nel caso specifico, considerate le buone premesse e l’intento pretenzioso, si attendono conferme sulla lunga distanza.
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La recensione A sinistra del rosso (ep) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-06-04 00:00:00
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