La folata d’Oriente che ti scompiglia i capelli appena premi play (“All my efforts”) lascia presagire cose belle, poi, strada facendo, ti accorgi che qualcosina stona, sì, realizzi che manca un vero spirito di squadra ad animare le voglie acustiche dei Sunday Morning Breakfast perché, alla fine, tutto sembra girare intorno alla (bella) voce di Aurora Inferrera, timbricamente accattivante quanto innaturalmente artificiosa nel voler ostentare un ventaglio interpretativo forse troppo ampio e ambizioso per le sue corde.
Morbidamente evocativa negli episodi più folk introspettivi di scuola americana, quelli più autunnali e deliziosamente orchestrati di “Bright angel”, “My voices” e “Lullaby” – vicini alla sensibilità campestre di Margo Timmins o Alela Diane e alle venature blues di Cat Power – la Inferrera ridonda, invece, nei frangenti più movimentati (“Funeral party” su tutte) fin troppo carichi di svisate carnose à-la Anastacia che strozzano le già pacate cornici musicali di Federico Lincetto (basso, mandolino, chitarra acustica, percussioni) e Mattia Donato (chitarre).
Un debutto, dunque, che cigola proprio laddove la presenza vocale calpesta la “linea gialla”, pregiudicando quel sottile gioco di equilibri orchestrali che avrebbe potuto trasformare i Sunday Morning Breakfast in dei piccoli Cowboys Junkies di casa nostra.
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