Del nuovo cantautorato se ne parla sempre. Spuntano come funghi. Non sempre però si tratta di cose valide, come è normale che sia nel calcolo delle probabilità. Invece siamo qui a parlare di una bella eccezione. CarloMagno, all'anagrafe (sognavo di dirlo prima o poi) Salvo Ricceri, è un ragazzo del '91 che fa il cantautore, e lo fa molto bene. Il suo primo dischetto uscito per la fresca label di Catania Golden Catrame è un gran bel primo lavoro. Lo descrivo con parole semplici perché è giusto parlare di queste piccole gocce di rugiada con la meraviglia negli occhi delle piccole cose. Spero che abbia fatto ridere almeno voi.
Poesia popolare, stupore per l'ordinario, per le cose di tutti i giorni. Bellezza e sofferenza, bellezza è sofferenza. Le incomprensioni, le difficoltà nel comunicare, nel capire e farsi capire, le scoperte e la disillusione. A tratti Ricceri sembra quasi portarsi male gli anni che ha, risultando però una fortuna nel suo caso. Undici tracce che evidenziano un talento non forzato, naturale, che scorre leggero e liscio, creando però solchi profondi. Il centro di tutto questo è quasi sempre una chitarra acustica, su cui si arrampicano come edera fraseggi di piano, chitarre distorte seppur docili e ammaestrate e organi da chiesa, a sottolineare la sacralità del momento. In "Bevi e Ingoia" la semicitazione di Woody Allen tira fuori un altro carattere importante del disco intero, l'autoironia, che spazza sempre via in extremis, con una punchline, la tristezza.
La voce e l'intonazione ricordano a volte un po' troppo gli Zen Circus o Brunori e credo che non sia nemmeno un gran mistero, ma ci sta anche questo. Poteva andare peggio insomma, poteva assomigliare a Bon Jovi, per esempio. Speriamo solo che il prossimo lavoro abbia un po' più di coraggio in questo senso, e sono convinto sarà ancora meglio.
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