Verily So Islands 2014 - New-Wave, Folk, Shoegaze

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Isole, coriandoli e qualche lacrima

È vero, c’è questa impronta shoegaze che emerge con più forza rispetto al passato. La chitarra di “To Behold”, il pezzo d’apertura del disco, spara subito una rasoiata di quelle che piacciono sempre in casi del genere: overdrive, chorus e qualche altro giocattolino in mezzo a poche pennate e molte idee. In “Cold Hours” - uno dei brani migliori - la batteria sciancata e le distorsioni che friggono in sottofondo sono 100 per cento Jesus And Mary Chain, quelli di “Just Like Honey”. Ma l’ambizione massima dei Verily So con questo ottimo “Islands” è probabilmente un’altra: mettersi sulle tracce degli Arcade Fire e costruire canzoni indie rock enormi, magari prive dei barocchismi dei canadesi ma piene - eccome - dello stesso entusiasmo.

L’ambizione viene fuori soprattutto in “Never Come Back”. Un brano spesso e maiuscolo nel quale la band toscana dimostra di essere padrona di talenti neanche tanto diffusi altrove. C’è l’inizio soffuso solo per voce e chitarra acustica. C’è il crescendo e l’alternanza maschile-femminile al microfono. C’è l’esplosione di un ritornello che chiama a sé una condivisione di sentimenti che mica si possono spiegare a parole ma che sono robe che un cinico non potrà mai provare - al massimo denigrare, povero lui. E poi c’è la coda assordante in quattro quarti che sa di coriandoli lanciati in cielo e qualche lacrima finita in terra.

La voce di Marialaura Specchia risulta perfetta in qualsiasi ruolo ricopra. Che sia protagonista assoluta (nella psichedelia notturna di “Sudden Death”, che piacerebbe al David Lynch musicista) o che invece divida la scena con l’altro cantante Simone Stefanini (per esempio nella desertica litania di “Nothing In The Middle”), Marialaura riesce a dare una profondità notevole ai brani, confermandosi perno imprescindibile di una formazione affiatata. A questo giro inoltre i suoni diventano più pieni, il lato folk si perde per strada e Patti Smith lascia posto ai Ride. Ma non si tratta di cambiamento. È un’evoluzione che nei momenti più riusciti - come la frenetica “Ode To The Night” - fa scattare la tripla A. E se le isole di “Islands” raccontano storie di isolamento, basta alzare forte il volume per ritrovarsi tutti un po’ più uniti. Un po’ meno soli.

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La recensione Islands di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-07-07 00:00:00

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