Dubstep grassa, 808 e pillole di trap. L'esordio americano degli Aucan.
Inghiottiti da una voragine. Deve essere così che si presenta, da tre anni a questa parte, la everyday life degli Aucan. La variante decisiva arriva quando lungo la discesa si presentano i tizi di Ultra Records, strappano un contratto, e così può avere inizio l'altra parte della storia. Quella che dovrebbe portare nel giro di un paio d'anni, si spera anche prima (magari toccatevi voi Aucan eh), a invadere l'altra sponda dell'Oceano. Il primo passo è qui, chiuso in questo EP che non porta un nome ma solo un numero: "1".
La rincorsa prende forma lungo quelli che erano stati gli ultimi cortocircuiti interni emersi dal gruppo, approfonditi su un nuovo asse bilaterale che fa tanto coppia di producer piuttosto che live band. Il meccanismo oliato è quello di una dubstep grassa senza essere cafona, bassi slabbrati, 808 e pillole di trap. Almeno "Riot" e "Loud Cloud" seguono il copione: la prima decisamente più oscura, con un drop che carica per poi sprofondare in abissi tra RL Grime e hip-hop a 80bpm, potenziale killer-track per tutta una generazione di young americans. "Rise Of The Serpent" è forse l'episodio migliore, techno puntellata da ariosi stab di piano e il rap cattivissimo di Otto Von Schirach a ricordarci che il grime, con altre vesti, è sempre vivo e lotta insieme a noi.
Che poi di lotta si parla e ci si lascia influenzare tanto, a giudicare da tutto l'immaginario costruito attorno a questo nuovo step. Non fosse che, da più di una parte, rimanda allo stesso ardore col quale un paio di anni fa i WU LYF giocavano e predicavano rivolte dalle periferie di Manchester. Ma qui, come si diceva, l'orizzonte di conquista è quello americano. E le regole in gioco si sa, sono diverse. Quella che stringiamo tra le mani è, per ora, una band che avrebbe le potenzialità per deflagrare a un centimetro dal naso di ogni teenager, ma non vuole farlo. O almeno, non lo fa per il momento, preferendo aspettare che i frutti siano veramente maturi e poi giocare di potenza, piuttosto che di faciloneria. Buona partenza e anche buon EP, ma l'importante rimane ancora continuare a scavare e scavare lungo quel baratro che dopo "Black Rainbow" i nostri hanno autocostruito. Tanto alla fine si sa, quello che conta è sempre l'atterraggio, mica la caduta.
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La recensione EP 1 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-05-21 00:00:00
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