Certe volte non c'è bisogno di tante parole, e non servono definizioni, per capire quello che ti stanno dicendo una voce e una musica. Pierre Ferrante è uno di poche parole, almeno quando canta, ma sa mettere così tanto dentro un semplice “you” che proprio non si ha bisogno d'altro. Lui intona uno “you”, un “heart”, un “love”, e tu senti molto di più, un sentire fluido e universale comunicato da una voce senza sesso e da una musica senza tempo e senza luogo.
Vengono fuori, da questa voce che non sapresti dire bene se è maschile o femminile, parole in inglese, francese e italiano, e melodie inafferrabili, ora carezzevoli ora nervose, spezzate, così come gli accompagnamenti che rigano di asprezze jazz i disegni delicati di un folk riscaldato da sfumature mediterranee. Quelli interpretati da Pierre Ferrante sono gli amori e i dolori cantanti negli anni passati, presenti e – speriamo - futuri, da uomini e donne, dagli chansonnier francesi, dai folksinger e dai jazzisti, da Nick Drake, Joni Mitchell, Tim e Jeff Buckley, Van Morrison...
Che nascono sottovoce, una chitarra, una solitudine creativa e niente più, e che una volta liberati si ingrandiscono, escono fuori dalle pareti del DIY e della bassa fedeltà e raggiungono tutti e si fanno capire da tutti, anche con poche parole, anche in una lingua sconosciuta. Per ricordarci che la musica non ha generi e confini se non quelli, vivi e mobili, che diamo alle emozioni.
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