Secondo capitolo della saga SuperTempo. Ci avevano folgorato due anni fa con un singolo da un minuto e mezzo di puro power pop, "Denim boy", e per non smentirsi in questo nuovo full-length su 14 pezzi ce ne sono 10 sotto i due minuti. La "ricerca della forma più immediata ed essenziale della forma canzone", la chiamano loro, io la vedo un po' come una doppia eredità: del punk da una parte, quella più vicina al sound della band veneta, e dall'altra dei Residents del "Commercial album", che ovviamente aveva portato questo spirito minimalista alle estreme conseguenze.
Dunque, per tornare a noi, "29" sta parecchio dalle parti del garage-punk, quello che è indubbiamente il primo amore dei SuperTempo e a cui la band ha trovato una propria via personale, che la rende perfettamente riconoscibile: chitarra distorta sempre in primissimo piano e batteria che macina decibel, con la voce più un po' più dimessa, quasi scazzata... "senza starci troppo a pensare", si diceva parlando del disco precedente "Brother sun, sister moon".
Di cui "29" non replica, volutamente, l'eclettismo, preferendo costruire un corpus compatto di istintivi two-minutes-joints come "Hammerhead", "Badball", "Swear your fat", e soprattutto "The kids are connected" e "Be your friend", sorelline gemelle di quelle che nel primo album erano "Mariabella", "Franco B." e la già citata "Denim boy".
Poi sì, c'è qualche leggera deviazione in ambito folk-americana ("Steve", forse il brano migliore del disco, e "I'd rather burn than get burned") o brit ("You're always late") ed anche, invero, un pezzo che si concede un po' di respiro in più: s'intitola "8 hours man", e la sua essenza non sta tanto negli oltre sei minuti di durata ma in come, in totale controtendenza con le canzoni che lo circondano, si prenda tutto il tempo che gli serve per creare l'attesa, partendo da una semplice base basso chitarra e batteria tra post-punk e Velvet Underground e facendo cascare dal cielo il ritornello (unico) non prima del minuto 3 e 28.
A seguire lo stringatissimo folk-punk di "Perpetua", e poi uno due tre quattro cinque sei pezzi, uno via l'altro, uno più tirato dell'altro, fino a chiusura. "La novità non è un ossessione e il passato non fa paura: ci si affida alla velocità, metafora dei nostri tempi frenetici, confusi, disinteressati". Parla chiarissimo la bio dei SuperTempo, e conferma il tutto l'ascolto di "29": ti interessa? Bene. Non hai tempo, o non ti interessa? Bene uguale, tanto noi tiriamo dritto. Con l'acceleratore giù fino in fondo.
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