Un album che vibra tra la teatralità estrema dei cantautori e un certo sentire post rock
L’inaspettato si materializza tra le “Storie di poveri mostri” dei Suricates. Perché si tratta di brani che ti prendono in contropiede. Come mettere insieme la teatralità estrema e a volte eccessiva del cantautorato italiano vecchia scuola con i volumi giganteschi e contundenti del post rock scozzese. È un equilibrio che dovrebbe frantumarsi a ogni nota suonata e a ogni sillaba sussurrata. E invece i Suricates se ne fregano di quello che la buona creanza suggerisce per la costruzione di una canzone. Vanno per conto loro: a volte sbandano un po’ ma altre volte - più spesso - prendono le curve nel modo giusto e passano in testa.
“La passione di un piccolo Cristo” ha il solito vecchio intro arpeggiato alla Mogwai, che è sempre un buon modo per fare bene senza creare danni. “Il sacrifico” è il brano più bello: ci sono aperture pop che non ti aspetti, c’è un organo che detta il tempo con incedere felpato, c’è una voce che si accartoccia e si dispiega tipo una bandiera che resiste ostinatamente al vento. “La processione” è un lento crescendo dove ci trovi un po’ di Franco Battiato (l’algido inizio fatto di tastiere dal suono vintage e dall’atmosfera drammatica) e un po’ di Broken Social Scene (lato “Pitter Patter Goes My Heart”, ultima traccia di “You Forgot It In People”) per via di quel crescendo struggente di archi che sembrano accompagnarti verso un futuro meno spaventoso di quanto ci avevano detto.
La dicotomia peraltro è figlia anche del tipo di lavoro alla base di “Storie di poveri mostri”. I Suricates mettono in musica i testi dello scrittore e fotografo Antonio Dragnonetti, che si è occupato anche delle immagini a corredo dell’album. Parole in primo piano e un’interpretazione che si prende qualche rischio ma che in certi casi riesce a muovere la pelle nella giusta direzione. Quella delle emozioni.
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La recensione Storie di Poveri Mostri di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-10-01 11:00:00
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