Lo Stato Sociale si è fatto conoscere circa due anni fa con il primo album “Turisti della democrazia” e con concerti sempre più pieni. Da allora, oltre al pubblico, la band di Bologna si è portata dietro anche una quantità incredibile di polemiche, con detrattori e sostenitori così accesi come non se ne vedevano da tempo. L’uscita del secondo album “L’Italia peggiore” non ha fatto altro che alimentare entrambi, pubblico e polemiche. Motivo per cui, l’unico modo sensato per parlarne è partire dalle canzoni.
E le canzoni de “L’Italia peggiore” si possono spiegare con un concetto molto semplice: sono la versione audio degli status su Facebook. Ogni testo cerca sempre di essere intelligente e sarcastico, ma mai troppo complesso. Il rischio, altrimenti, è che arrivino pochi feedback positivi. I testi di Lodo Guenzi e soci sono elenchi di frasi pensate per raccogliere like, così come le canzoni hanno come unico, scopertissimo obiettivo quello di avere gente che canta e salta. Nulla di male, certo, non fosse che questo scopo viene perseguito portando a zero lo sforzo e il livello di creatività, anche e soprattutto per quanto riguarda le musiche, a tanto così dalla baby dance. Provate ad ascoltare i ritornelli dell’album e troverete una schiera infinita di lalalala e affini, poco conta che siano cantati o che la linea melodica sia affidata a una “macchinetta”, come la chiamano loro.
I pezzi di questo secondo album sono tutti così, con poche eccezioni. Se “Turisti della democrazia” aveva dalla sua una freschezza innegabile e poteva puntare sull’effetto sorpresa, “L’Italia peggiore” sconta il fatto di essere un clone del primo disco. Ascoltateli entrambi e potete giocare a “Trova le somiglianze”, con una precisione che nemmeno le vignette della Settimana Enigmistica. Per ogni pezzo del primo album c’è un corrispondente in questo nuovo lavoro: tirare le linee è facile, basta averne la voglia. Rispetto a “Turisti della democrazia”, l’unico aspetto di novità è rappresentato da un paio di ritmi in levare e da “Linea 30”. Quest’ultimo è un clone dichiarato degli Offlaga Disco Pax, band che Lo Stato Sociale ha sempre indicato come fondamentale per la nascita del gruppo. Di nuovo: scelta legittima, ma anche in questo caso si parla di sforzo pari a zero.
Sarebbe facile, a questo punto, liquidare il disco e la band additando entrambi come il male assoluto della nuova musica italiana, mettendosi in coda a quelle polemiche citate in apertura. Sarebbe facile, ma anche parecchio stupido. Il successo avuto da Lo Stato Sociale impedisce di archiviarli come qualcosa da poco. Il gruppo di Bologna è la sorpresa di questi anni, un fenomeno con pochi precedenti per esplosività e - il termine non è affatto casuale - viralità. Fatte le debite proporzioni di dimensioni e indotto, Lo Stato Sociale può essere definito la versione musicale di Checco Zalone, con una spruzzata di sinistra. Ovvero: puntare tutto su un livello medio-basso, infarcito di luoghi comuni e comprensibile a chiunque ascolti con mezzo orecchio. Allo stesso tempo, buttare dentro qualche riferimento sociopolitico, per far contenti quelli che un tempo avrebbero ascoltato i Modena City Ramblers e che ora a violini e zufolotti preferiscono i synth.
Lo Stato Sociale ha avuto la capacità di inventarsi un suono e un’attitudine che - è evidente - il pubblico voleva. Nessuno se l’aspettava, nemmeno loro, ma è sotto gli occhi di tutti che sia andata così. E questo è un merito che va loro riconosciuto. Da quel merito e da quel successo di pubblico deriva però anche la responsabilità di dare risposte e contenuti all’altezza. “L’Italia peggiore”, in questo senso, è l’esatto opposto di quello che avrebbero dovuto fare e allo stesso tempo quello che era ovvio avrebbero fatto. Perché il paraculismo è il loro tratto più evidente e riconosciuto e perché, in fondo, è quello che ha fatto anche Checco Zalone.
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