Il disco ideale per esorcizzare le nostre stranezze, renderle reali, dargli una forma e imparare a conviverci.
“È una guerra, ognuna ha quella personale. È una guerra, ognuno la deve affrontare”.
Niente di più vero: è la solitudine che spesso si prova quando ci troviamo faccia a faccia con le nostre manie, le fobie più ossessionanti, le paure e tutto ciò che vorrebbe farci nascondere nell’angolo più buio della coscienza. Quel luogo dove comprimiamo tutto, ché tanto di spazio ce n’è, e allora continuiamo ad impilare sensazioni su sensazioni, finché qualcosa non scatta, e tutto esplode.
“Senza Vergogna”, terzo disco per i Sick Tamburo, è un po’ quella molla che fa saltare in aria tutto quanto, e quando il meccanismo è entrato in funzione, è fatta. Senza dubbio il lavoro che segna la svolta e la maturità della band, quello più introspettivo, profondo, quello che va a scavare in cose inaspettate che ognuno di noi pensa di non poter ritrovare altrove, se non dentro sé stesso.
È bene essere chiari: non è un disco allegro, lo si capisce dalla traccia d'apertura “Qualche volta anch’io sorrido”, una marcia ossessiva e a tratti soffocante che evoca immagini aride e infinitamente grandi, il ritmo cadenzato, ipnotico e cupo di “Prima che sia tardi” e le suggestioni sintetiche sui tappeti sonori di “Se muori tu”.
Meno distorsioni rispetto al precedente lavoro e suoni più sporchi, la matrice ipnotica che rimane come un cordone ombelicale saldo ma che si stratifica qui insieme a una più forte presenza delle linee melodiche. L’esempio più calzante è “Il fiore per te” con le sue aperture pop rock, un gioiellino dai colori tenui che svetta nel lotto, o “L’uomo magro”, dove le parole si trasformano in racconti e si avvitano su chitarre grezze e gracchianti. Tutte le manie prendono vita in “Ho bisogno di parlarti” e nella sua elettronica che va a braccetto con la chitarra acuta e spigolosa, e in “Ti amo (solo quando sono solo)” con le sue sonorità acidule e trivellanti. La grossa novità che salta subito all’orecchio è che i brani sono interamente cantati da Gian Maria, mentre Elisabetta torna ad imbracciare, in questa nuova formazione, il basso.
Nonostante il disco riesca ad entrare subito sotto pelle, aderendo come un ulteriore strato, ad ogni nuovo ascolto si scoprono sfumature che precedentemente ci erano sfuggite, immagini che non eravamo riusciti a mettere a fuoco, suoni che ci erano passati accanto indisturbati, sensazioni che avevamo tenuto a bada.
“Senza Vergogna” è il disco ideale per esorcizzare le nostre stranezze, renderle reali, dargli una forma e imparare a conviverci. Un disco bello che segue un filo logico dall’inizio alla fine e che non stanca mai, ascolto dopo ascolto; un ulteriore miglioramento nella parabola artistica, già rivolta verso l’altro, dei Sick Tamburo.
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La recensione Senza vergogna di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-07-14 00:00:00
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