Sei mistiche tracce costruite sulla ripetizione di frammenti melodici adagiati su morbidi fondali di feedback di chitarra
La solitudine in montagna genera mostri. Così almeno ci insegna il nutrito filone horror dedicato alla cosiddetta cabin fever, ovvero l'ansia da isolamento che porta a pericolosi gesti di pazzia (chi ha detto Shining?).
Non è questo però il caso di Maurizio Abate, che in solitario ritiro sui monti ci è andato per registrare la sua ultima fatica sonora, la quarta della sua discografia in qualità di solista. Facendo dunque suo il motto "O beata solitudo, o sola beatitudo", un pensiero (forse) di San Bernardo, Abate ha concepito sei mistiche tracce costruite principalmente sulla ripetizione di frammenti melodici adagiati su morbidi fondali di feedback di chitarra, suo strumento d'elezione.
I riferimenti possibili sono tanti; per chi naufraga volentieri in mari elettronici come il sottoscritto viene subito alla mano il nome di Brian Eno, soprattutto ascoltando l'iniziale “Into the void”, sporcata nel finale da distorsioni che tendono al noise. Ma sarà bene citare anche il macrocosmo progressive rock al quale puntano “Shiva's Breath” e “Land of thoughts”, il minimalismo à la Terry Riley di “Towards the outside”, l'uso dei campioni vocali frammisto al country rock (che piacque tanto ai KLF) di “Silent trees”, il blues distorto della (a dir poco) sorprendente cover di “The House of the Rising Sun”, qui ribattezzata “Rising sun blues”.
Peccato che questo repertorio nella vulgata popolare venga spesso associato alla musique d'ameublement delle compilation in stile Buddha Bar, perché in realtà richiederebbe un ascolto molto concentrato. Per fortuna Maurizio Abate in Italia non è solo come sulle Alpi, ma in ottima compagnia (leggi: Gigi Masin).
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La recensione A WAY TO NOWHERE di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-08-20 00:00:00
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