Brani strumentali che evocano paesaggi interiori e geografici
Attenzione, maneggiare con cura: questo dovrebbe essere l’ipotetico avviso etichettato sul frontespizio di questo lavoro; al pari dei più famigerati “Parental Advisory” o “Explicit Lyrics”, metterebbe subito in guardia gli ignari ascoltatori e chiarirebbe definitivamente che la materia sonora trattata in questo disco non è alla portata di tutte le trombe di eustachio. Si tratta infatti di otto brani strumentali, giocati tutti in punta di corde tra chitarra elettrica, classica, charango, dobro e slide, strumenti che evocano paesaggi interiori e geografici: deserti, strade polverose, e luoghi alla fine del mondo. I codici che Stefano Meli (autore ed esecutore di tutti i brani) utilizza per condurci in questo viaggio a bordo di una sgangherata Buick Convertible del ’50 sono anzitutto quelli del blues e di tutto ciò che transitò nel Delta del Missisipi attorno agli anni ’30 e ’40 del secolo scorso. È questo il caso di pezzi quali "West Belfast Rainy Night Blues", "Moonslideblues", "Bobby Sand’s Prison Blues" mentre episodi quali "Sin Ningun Dia" o "Untitled" sconfinano quasi in ballad visionarie e lisergiche.
Lungo il cammino che si snoda attraverso le otto tappe musicali, trovano spazio anche le note di "The End of B", che tautologicamente non conducono in nessun dove, mentre un’ispirata "Il vento" ci indica chiaramente la direzione che l'artista dovrebbe seguire per produrre lavori di maggior presa e sperimentalmente significativi. Materiale da trattare coi guanti si diceva, o forse per cultori assoluti del genere.
Come insegnava il maestro Carmelo Bene, a volte è del tutto inutile e poco proficuo cercare il senso, la direzione, il significato o ancor peggio il messaggio, poiché si è sempre in balia dei significanti.
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La recensione Eight Instrumental Dusty Tracks From Nowhere di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-09-23 00:00:00
COMMENTI (1)
Grazie mille Andrea anche se in ritardissimo!