Gli Osram sono un progetto (quasi) nuovo, comunque all’esordio discografico, e sono la scommessa con la quale la Zahr Records (con la collaborazione gentile della W.uck, altra etichetta sarda) si affaccia sul mondo indipendente italiano. Sappiatelo subito: la Zahr è l’etichetta di Luca Zoccheddu, zok@rockit.it, sardo e saldo collaboratore di Rockit da qualche tempo ormai. Chi fra voi, dunque, vorrà gridare allo scandalo, al conflitto di interessi, all’ennesima dimostrazione della corruzione di rockit, alle mazzette, ai cazzi e pure ai controcazzi (perdonate la sana goliardia, necessaria in questi momenti di furente fastidio) conoscerà sicuramente il posto e i modi più adatti. Chi invece vorrà per una volta usare un briciolo di buon senso, innanzitutto apprezzerà lo sforzo di Zok, poi, questo è legittimo, ne criticherà o ne apprezzerà i suoi risultati.
Il mare è lontano. Anche i Tazenda e i Tenores di Bitti. Della Sardegna rimangono i cognomi dei musicisti (Pintus, Frisan, Seu, Pirisi). Della Sardegna rimane mia mamma, dunque mi permetterete un po’ di simpatia a fior di pelle (sono in conflitto d’interessi con mia mamma?). Della Sardegna non si vede il sole, in questo disco, nessuna bellissima spiaggia all’orizzonte. Tutto suona basso, sembra notte profonda. Psichedelia e post-rock, in primis, poi avant jazz e space rock, qualche volta. Ma anche un po’ di post-metal alla Tool, aggiungo io. Brani interamente strumentali, suite lunghissime, che partono da un elemento e piano piano ne aggiungono altri, fino a crescere per poi diminuire (ma siamo in territori completamente diversi dalla cavalcate dei Mogwai, che sono solo un lontanissimo punto di riferimento). Il nodo focale di queste canzoni (canzoni?) è la tensione, il nervosismo, la cupezza dei toni. Giri di basso che non sorridono mai, base portante di pezzi talvolta molto ben riusciti, che dal vivo, in un locale con la luce slavata e l’aria densa di fumo, sicuramente potrebbero colpire al cuore.
Ma alla lunga affiora un po’ di stanchezza. L’inquietudine diventa noia, ed almeno un po’ sortisce un fastidioso effetto di cantilenante opacità. Forse che il disco sia troppo lungo? Forse che il suono risulti eccessivamente monolitico, privo di sbocchi oltre un determinato confine? Forse queste due cose assieme. Peccato, perché questi due solo (ma certo non trascurabili) elementi condizionano fin troppo la produzione di una promettente band che ha nelle sue mani una caratteristica rara: la personalità. Siamo però di fronte ad un esordio, e se la Dea Ispirazione non mancherà di baciare questa zona di mondo non potremo che aspettarci delle belle soprese.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-07-27 00:00:00
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