Disco di rock cantautorale, nella media, con pregi e difetti tipici del genere.
Novità in casa La Moncada: si è imbarcato nell'impresa anche Carlo Barbagallo degli Albanopower. Non che questo abbia fatto deviare la band torinese dai mari sui quali la guida sicura di Mattia Calvo, cantautore, la mantiene con sicurezza. Le rotte sono quelle abbondantemente esplorate del cosidetto rock d'autore nostrano, creatura policefala che è usa mostrarsi in differenti vesti musicali, ma con alcune caratteristiche che la rendono immediatamente riconoscibile: l'assoluta mancanza di groove; atmosfere solitamente dolenti, ripiegate su se stesse o, al limite, rabbiose; testi in cui compaiono paroloni, quasi essi siano garanzia di qualità poetica e che, invece, portano ben lontani dai mari della liricità, per approdare alle temibili lande del discorso saggistico (ma neanche: qui, versi come “bulimia della notizia” fanno solo talk show televisivo, con tutta la pochezza del caso).
Benché i La Moncada sappiano suonare, eccome (bello l'intreccio delle chitarre in “Nel deserto dei sentimenti”), non sfuggono a nessuno dei limiti propri del genere. Anzi, paiono vagare alla ricerca di un'interpretazione maggiormente personale di esso, mostrando ancora in tutta evidenza i numi tutelari e ispiratori: gli immancabili Marlene Kuntz in “Robocop” (che nei suoi momenti più pregevoli mostra degli accenni, purtroppo vaghi, di sound alla Negrita, di cui si potrà pensare tutto il male possibile, ma che sanno come far muovere il culo); e Massimo Bubola, da cui si dipartono rivoli che da un lato riportano alle ascendenze springsteeniane del cantautore veronese (come in “Una nuova cattiveria”, ovviamente priva del mordente di Springsteen), dall'altro alle sue discendenze, e cioè quel fiume che da Gang e MCR in poi ha invaso la musica italiana anni 90, nei loro momenti più intimi.
Questo “Nero” piacerà a chi già gradisce il genere, sempre che non lo prenda per quello che è: un mero tentativo, non ancora maturo, di interpretazione personale di cose già dette e strasentite. Non sono certo dischi come questi che salveranno il rock, già moribondo per conto suo: altrove, non qui in ItaGlia è stato ampiamente dimostrato che si può scrivere di problemi sociali sapendo emozionare, perché si narrano casi concreti ed emblematici, usando parole semplici, ma soprattutto sprigionando tutta la potenza del groove, già il rock non è fatto solo di inamovibile roccia, ma anche (e soprattutto) di roll, ovvero di danza. Che i La Moncada si riascoltino i Clash, per andare lontano nel tempo ma vicino a quelli che devono essere i loro gusti; o, meglio ancora, i Primal Scream di “Invisible City” o "Culturecide", 2013. E prendano appunti.
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La recensione Nero di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-10-03 00:00:00
COMMENTI (2)
Piccola riflessione : quest'anno ho letto una decina di recensioni qua sopra, quasi sempre di dischi che NON avevo ancora ascoltato...ma prodotti da amici degli amici degli amici..dei conoscenti. Al di la' dei miei gusti personali (ignoro gran parte del rock e dei suoi derivati) e di quanto mi siano piaciuti o meno i dischi che ho poi ascoltato (compreso questo), vi ringrazio perche' li ho ascoltati SOLTANTO perche' PRIMA ho letto le VS recensioni che definire negative sarebbe un eufemismo davvero troppo ermetico rispetto alla saccenza che normalmente trasuda dalle Vs righe.
Insomma, mi avete messo un'errefrenabile voglia di ascoltare ESCLUSIVAMENTE le Vs stroncature. ..e MAI gli artisti che elogiate. Anche se NON era MAI il mio genere.
Se e' una sofisticata (ma nemmeno tanto) marketing strategy...al contrario..fate Voi.
Anyway, mi piace la 2 la 5 la 6 e la 9. Ma soprattutto la 5, mi ricorda Beck. Ciao ne'.
Sii gentile... renzo.
rockit pietosi come sempre