Un disco che si distingue dagli altri per il particolare trattamento della voce, più timbro che parola
Jens Hvalsang (a.k.a Kleingott) propone sin dai suoi pseudonimi i suoni duri e sfuggenti, più timbro che parola, che tornano anche nel suo modo di cantare. Un neo-folk spoglio che trova il suo riferimento nei momenti più distesi e para-orchestrali degli Spiritual Front o nelle esperienza chitarra/violino di Nick Cave e Warren Ellis, su cui si innestano timbri della tradizione folk americana (il banjo di “Strychinine in my rum”).
Meno funereo rispetto agli esordi, ciò che caratterizza e distingue questo disco, come già accennato, è il particolare trattamento proprio della voce, la cui pronuncia strascicata e gorgogliante rende quasi incomprensibili i testi ma arricchisce il tessuto musicale di un suono che se da una parte è vero e proprio timbro, dall'altra suona quasi come una lingua inventata proveniente da un mondo fantasy o dalla letteratura horror svedese.
In questo, Jens ricorda l'ultimo lavoro di My Dear Killer, con cui condivide anche le atmosfere eteree e in parte inquietanti, in cui i suoni d'ambiente e gli arrangiamenti dei fiati creano un mondo tangibile (“The curse of the whale”), ricco di turbolenze elettriche e dolcezze pianistiche (“Anchors & ballasts”). “Pirate folk” lo definisce lui, e l'elemento piratesco si ritrova anche nella copertina e nella malinconia di melodie che sono esse stesse racconto, nella particolare capacità sinestetica di questi brani che si fondano su pochissimi strumenti (chitarra, pianoforte, rumori, e lo ripetiamo di nuovo, voce) inseriti in una densità atmosferica che si può toccare.
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La recensione Whale songs in the mountain lake di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-12-04 08:00:00
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