Chitarre distorte, attitudine lo-fi e tanta freschezza: brillantissimo esordio per gli Skelets on Me.
Tendiamo spesso a complicarci la vita, è così, è la nostra natura, poi a volte si aprono mondi fatti di spontaneità, freschezza, un po’ come i discorsi dei bambini, e inevitabilmente ci sentiamo più leggeri: questa la sensazione dominante ascoltando gli Skelets on Me, progetto a tre nato da pochissimo e partito con le registrazioni in salotto di Valentina Giani, che su un tappeto costante di chitarre distorte disegnano con ogni colore quei sorrisi che spesso mancano, con attitudine lo-fi, sguardo fisso sugli anglofoni anni novanta, e atmosfere sognanti ma di quei sogni piccoli, che in fondo poi si possono pure realizzare.
Si punta tutto sul contrasto tra le trame noise e la voce con quel piglio Je m’en fous e dal profilo basso, punk nello spirito, psichedelica negli esiti: il risultato è un insieme di brani che si fanno ascoltare con piacere, immediati, dalle strutture lievi e scintillanti e che trovano in noi, così complicati, facile preda; prendi “Gross to Say” col suo ritornello supercatchy, vicinissimo al cielo, o la presa asciutta di “Interference” che mi proietta nelle storie d’amore dei miei sedici anni, quelle che duravano pochissimo ma che per quel poco ti incendiavano il cuore.
L’esplosione poi di “Riot” con la sua batteria martellante, l’aria sixties di “Find Me”, essenziale e timida nello scuoterti, ma ti scuote eccome: ogni traccia è piena di quei sorrisi che davvero mancavano, quei sorrisi che non nascono da chissà quale gioia ma dal prendere le cose con leggerezza, e dalla leggerezza spunta un disco che afferma con certezza che gli Skelets on Me, continuando così, arriveranno molto lontano.
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La recensione Sometimes I Wish Your Eyes Could Speak di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-09-15 00:00:00
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