La delicatezza prima di tutto. E Giuseppe Palazzo la disegna con i colori tenui dei fiori, con il loro linguaggio delicato, su un album, “Il linguaggio dei fiori”, che segue l’andamento del movimento dei fiori al soffio del vento. E in ogni traccia, attraverso un’attitudine cantautoriale moderna, voce mai forzata, sempre moderata e delicata, sono i fiori stessi a parlare con tutto il loro significato simbolico. Perché i fiori a volte possono sostituire le parole: possono essere un modo per scusarsi di un ritardo o di una dimenticanza (“Il roseto”), possono essere fiori commemorativi che sanno di morte (“Il mio funerale”), o le stelle di Natale in fiore a dicembre con il loro sapore di tradizione (“Aria di Natale”), ma anche segno di magie, fonte di fascino inspiegabile (“Amore e altre malìe”), ricordi da fissare, come quando si lascia una rosa tra le pagine di un libro e la si ritrova, secca ma sempre bellissima, a distanza di anni (“Stampante”).
Lo stile alla Dente, Alessandro Fiori (per rimanere in tema), con un po’ di Silvestri, Fabi e Gazzè, ma anche qualcosa di Capossela, è la dimostrazione che non serve per forza urlare per “arrivare”. Qui trionfano la delicatezza, la semplicità, la sensibilità di poesie della quotidianità arricchite da colori pastello che creano un’atmosfera finale di intima calma e tranquillità.
Insomma ogni singola traccia è un petalo, frammento di un fiore da immaginare, parte di un giardino fiorito (tutto l’album) in cui ci si addentra muovendosi lentamente tra l’erba e i fiori, descrivendoli uno per uno e facendo attenzione a non calpestarli. E ogni nuovo fiore è una sorpresa di colori tenui o più accesi per tracciare ogni sfumatura, che poi costituisce la totalità dei colori in un continuo andamento dal particolare al generale.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.