Un plauso al power trio milanese per l’affatto scontato approccio alla materia sonora e per la rara cura con la quale hanno confezionato un album fuori dal tempo.
“Quel brevissimo istante…” dura poco più di due ore (sedici brani) ed è la nuova mastodontica fatica dei milanesi judA. Non un disco facile e con alle spalle un “concept” di spessore (anche se nelle loro intenzioni sembra non esserci): “Quel brevissimo istante in cui ti manchi è l’attimo in cui ti risvegli e prendi coscienza di essere sull’orlo del baratro. Un momento di lucidità nella follia o un momento di follia in un eterna lucidità”. In pratica, tutto ciò per cui si dibatte la psicologia della Gestalt da oltre un secolo. Sedici brani, si diceva, una decina di pugni allo stomaco formato heavy psych, suonati con impeto selvaggio e grazia luciferina come non sentivamo da tempo, e i restanti episodi a fungere da gatekeepers, ossia “sfogatoio” da eccessiva pressione tellurica. Fosse un album uscito negli anni ’70, sarebbe sicuramente un doppio vinile con grammatura da laterizio, copertina serigrafata a mano e numerata, un prodotto importante insomma, fiero baluardo contro quella che loro chiamano “musica fast food”.
A distanza di quattro anni da “Malelieve”, la cura e l’amore dei judA per le cose genuine e di un certo peso specifico, dunque, resta invariato. Sta lì a dimostrarlo questa sequenza di brani di pregevole fattura, sedici singole induzioni (diciasette con la bonus track “Agricoltore” che, con i suoi trentadue minuti e rotti, si rivela una suite enclave) al fermare la propria esistenza e fare i conti con quell’attimo sospeso verso il quale troppo spesso opponiamo diniego e, nel farlo, i tre lombardi utilizzano codici espressivi alle prese con i quali risultano invidiabilmente maestri. Dopo l’assalto all’arma bianca delle due tracce d’apertura, caratterizzate da un incedere wagneriano e noise (“Vibra” e “Isolamento”) i toni si smorzano e tutto diventa caleidoscopicamente più rarefatto (l’incipit di “Nel Deserto” e il bellissimo strumentale “Aquiloni a Nord”) per poi tornare in ambiti prog e stranianti (“Ars Oblivionis” e “Fiele”). Come detto sopra, è questa continua sinusoidalità il vero punto di forza di questo disco, l’alternarsi di episodi di granitica potenza ad altri di estrema muliebrità (a titolo d’esempio, si ascolti la meravigliosa “L’Eleganza dei Pensieri Semplici” con alla voce Laura Spada o “Quasi Smetto”) che costituisce il valore aggiunto di un lavoro già di per sé strutturato e convincente.
Che su tutto il disco aleggi lo spirito di maestri del genere quali Tool, Isis o Nine Inch Nails è innegabile, ma questo non risulta essere un problema, poichè i judA dimostrano di aver assimilato la lezione in modo del tutto personale e ci restituiscono una versione aggiornata e corretta del sound vomitato sui palchi di mezzo mondo dai mastodonti sopracitati. Un plauso al power trio milanese per l’affatto scontato approccio alla materia sonora e per la rara cura con la quale confezionano un album fuori dal tempo, dove onestà ed attitudine rappresentano ancora un’ipotetica meta verso la quale tendere.
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La recensione Quel brevissimo istante in cui ti manchi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-01-07 00:00:00
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