Guano PadanoAmericana2014 - Jazz, Folk

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Ascoltare, riascoltare, gustare fino in fondo un disco come questo: prendersi il proprio tempo contro la dittatura del mordi-e-fuggi

Non si fa che dire, degli anni che stiamo vivendo, che sono usa-e-getta, mordi-e-fuggi, carpe diem... e chissà quanti altri giri di parole per indicare che la nostra soglia di attenzione si è notevolmente abbassata, che non abbiamo più il tempo per fruire le cose come una volta visto il moltiplicarsi degli stimoli, e così via. Anche in campo musicale, la regola sembra essere colpire subito, nei primi 30 secondi, altrimenti l'occasione è buttata: per portarsi avanti l'ideale è avere giù un titolo il più ad effetto possibile. Eppure.

Eppure da qualche anno si sta assistendo a un ritorno tanto prepotente quanto silenzioso, in campo indipendente ma non solo, di un macrogenere che in base alle premesse di cui sopra nulla dovrebbe avere teoricamente a che spartire con i nostri turbolenti 2010 e rotti. Mi riferisco alla musica strumentale, che è come dire tutto e niente, e a quella che normalmente viene chiamata "da colonne sonore" (altra definizione che più vaga non si potrebbe). Ché, saltando il discorso su Rota, Morricone e compagnia su cui già si sa tutto, si potrebbe parlare dei più contemporanei Ronin, delle sonorizzazioni dei Giardini di Mirò, dell'evoluzione di Calibro 35. O delle nuove leve, come la Band del Brasiliano o, per chiudere il cerchio sonoro, i Guano Padano.

Formazioni con un immaginario musicale ben preciso, ma che certo non può essere liquidato in pochi minuti di ascolto. Ci vuole del tempo per costruire delle immagini, dei mondi, per scatenare delle associazioni, col solo ausilio degli strumenti. Per scrivere, come titolava il grande Jack Bruce, "temi per western immaginari".

Che poi, questa cosa del Far West, potrebbe anche essere una scusa: solo lì riusciamo ad andare a parare, quando sentiamo pezzi dai tempi dilatati, dalle atmosfere languide, come qui "White giant" o "Better than the radio"? Ma è veramente al West che stiamo pensando, o è solo un cliché (l'ennesimo) che usiamo per addomesticare un suono con cui abbiamo solo una vaga familiarità?

In questo senso "Americana", terzo disco dei Guano Padano, cerca di venirci incontro, di aiutarci ad allargare lo spettro, nell'unico modo possibile: con la parola letteraria. Suggerita, evocata (come gli spettri di Fernanda Pivano ed Elio Vittorini nella presentazione e John Fante in "Dago red") più che pronunciata davvero. Perché sia un rimando, un oltre, un dopo, rispetto alla musica di questo disco, che però proprio con i tempi di un libro (e non di un film, né di un clip su YouTube) deve essere affrontato, assimilato, amato.

Una pagina qui, in una mattinata pigra ("The fat of the land"), una pagina lì, tra uno spintone e l'altro sul tram ("Banjo dog"), un'altra ancora tra i dubbi, le preoccupazioni e le risoluzioni della sera ("Flem's circus"), un'altra nella pace della notte ("The seed and the soil", l'unico brano cantato). Ascoltare, riascoltare, gustare, prendersi il proprio tempo: a suo modo, anche questa è una forma di resistenza alla dittatura del mordi-e-fuggi.

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La recensione Americana di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-11-12 09:00:00

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