Vero Giano bifronte questa terza prova dei novaresi Eva's Milk. Dopo l'esordio del 2008 con "Cassandra e il sole che oscura" e la replica di tre anni dopo a nome "Zorn" (ogni riferimento al compositore avanguardista statunitense John è puramente casuale?), si riaffacciano sul mercato discografico con questo album eponimo. Si parlava di polimatericità o, comunque, di una doppia prospettiva dalla quale analizzare queste dodici tracce che si dipanano lungo – quasi - quaranta minuti di durata e che alternano un gradevole punk'n'roll alla Zen Circus a colate laviche di riff che sembrano usciti dai peggiori incubi di Buzz Osborne (Melvins).
E se questo spiazzante saliscendi di umori e approcci alla materia sonora potrebbe, a prima vista, costituire il carattere distintivo ed il vero punto di forza di questo lavoro, alla lunga il gioco mostra la corda e ciò che da principio solleticava la fantasia e predisponeva ad un ascolto attento e coscienzioso, ben presto si tramuta in una riserva grossa come una casa che aggiunge più di un’ombra sulla reale esistenza di un disegno o una visione a monte di tutto. Perché se è vero che brani quali “Prendulum” o “Patti coi luciferi” sono facilmente riponibili, in un ipotetico scaffale di dischi, alla voce Tre Allegri Ragazzi Morti, si lasciano però apprezzare fosse anche soltanto per una sorta di fresca e genuina ricerca di emulare i numi tutelari. Mentre è con episodi quali, ad esempio, “Consolamentum” o “Dumbooh”, che si fa fatica davvero a cogliere il senso (qualore ve ne fosse uno) delle cose, se non maliziosamente riconducendo il tutto ad un esercizio di stile o, ahimè, ad un voler fare il verso ai Verdena più esacerbati.
Ed è questo dazio piuttosto consistente che i tre piemontesi pagano nei pezzi più heavy, a penalizzare questo lavoro che, tra luci ed ombre, costituisce una buona prova per una band ancora in cerca di una propria identità.
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