Un disco interessante grazie a un suono meno liscio di quello di molti gruppi post rock
Possono essere considerati neoclassici i Jarman. Hanno nei loro strumenti tutte le caratteristiche paradossali del post rock. Sono quieti eppure pronti ad aggredire. Hanno volumi che possono fare male ma difficilmente hanno voglia di infierire. Sono ultramelodici però a volte scappa loro la dissonanza impertinente. “The Sense of Self” ha un inizio sottotono. Un’introduzione di psichedelia diluita e un po’ kraut (“Stratos”) saluta svogliatamente l’ascoltatore. Dà l’impressione di non avere uno studio particolare dietro. Se fosse stata la coda di un brano avrebbe avuto un altro effetto.
Questi suoni in libertà vengono poi tenuti a bada e schierati meglio nella successiva “The Roaring Lion and The Bubbling Fish”, un pezzo che unisce Karate e Slint. Nei momenti arpeggiati la band è ineccepibile, mentre perde qualcosa sul lato distorto, un po’ banale. Molto buona “Tunnelt”: qui tutto combacia alla perfezione, l’alternanza di forte e piano è gestita bene e la canzone regala ottime sensazioni e parecchia nostalgia per le sonorità degli anni Novanta. Quel basso wave disegna un universo caldo e accogliente dove il resto della band riesce a esaltarsi a dovere. Niente male “Light in August”, un crescendo che pur nel suo incedere standard sfoggia una serie di chitarre scintillanti e dolenti al tempo stesso.
“The Sense of Self” è un lavoro interessante perché opta per un suono meno liscio e pulito di quello di molti gruppi post rock. Al netto di certi momenti distorti, che portano via parte della magia e dell’atmosfera, i Jarman dimostrano di avere buone prospettive. Soprattutto quando è la malinconia - e non la rabbia - a prendere il controllo.
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La recensione The Sense of Self di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-01-27 00:00:00
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