Nell’ascoltare i dodici brani che compongono l’ultimo lavoro del cantautore napoletano si ha l’impressione che qualcosa sia cambiato, specie chi - come il sottoscritto - ha seguito Eugenio Bennato sin da quando faceva parte della storica Nuova Compagnia di Canto Popolare (pietra miliare, occorre ricordarlo della world music italiana ed europea). Si noterà sicuramente che la scelta musicale intrapresa in “Che il Mediterraneo sia” in qualche modo sembra divergere dallo stile cui il fondatore del movimento “Taranta Power” ci aveva abituato.
Ricca di melodie e motivi più orecchiabili anche per l’ascoltatore che non è necessariamente l’appassionato di musica etnica, quest’ultima opera è un prodotto dalla fruizione meno selettiva, quasi ‘consumer’ verrebbe da dire. Ma se questo, in sé, può essere ritenuto un fatto positivo, bisogna pur considerare che tutto ciò ha avuto un ‘costo’ notevole: manca infatti quasi del tutto quello spirito di ricerca che ha contraddistinto i capolavori musicali del Nostro, tanto che sembra essersi affievolito quello spirito ‘filologico’ che rendeva i brani portavoce di culture musicali altrimenti destinate ad una lenta ed inesorabile morte, rinchiuse dentro i corpi degli ultimi cantori e sotterrate nell’oblio.
Sia chiara però una cosa: “Che il Mediterraneo sia” non è un brutto disco, solo che probabilmente non è all’altezza delle aspettative; dall’artista partenopea - che ci aveva abituato fin ‘troppo bene’, facendoci ascoltare i pregiati suoni degli strumenti poveri suonati con una maestria rara - di certo non ci saremmo mai aspettati un pezzo come “Taranta sound” che poco si discosta da un brano a ‘140 bpm’ del sabato sera, anche perché tutto ci sembra fuorché taranta. Quasi nostalgico, poi, appare il ricordo di tracce contenute nei precedenti lavori (nello specifico “Pizzica minore” o “Tarantella finale”), capolavori musicali talmente intensi da fare ribollire il sangue nelle vene e scatenare brividi.
Ma è pur vero che un disco non si può giudicare in base ai precedenti artistici dell’autore, poiché ogni opera ha una storia e vita propria. Quest’ultima, come avrete intuito, è decisamente più leggera delle precedenti, con un approccio alla materia più pop che ‘popolare’ (e il secondo aggettivo non è qui usato come traduzione del primo), suonata bene e dagli arrangiamenti accessibili ed orecchiabili, caratterizzata dai ritmi coinvolgenti di brani come “Popolo di tammurriata” o “Vola”, fino alla dolcezza toccante di una “Ninnananna” cantata da una madre al proprio bambino lungo il viaggio su una carretta del mare diretta verso la terra che rappresenta la sopravvivenza - episodio, quest’ultimo, fra i più riusciti del disco.
Concentrando l’ascolto sui testi si percepisce una certa ripetitività (specie attorno ad una spesso evocata ma poco presente ‘taranta’), dove si sente il peso di liriche a volte ‘artificiose’. Tuttavia “Che il Mediterraneo sia” percorre sicuramente rotte nuove nell’espressività e nell’interpretazione del senso di ‘musica etnica’, ma sono pur sempre percorsi che rimandano ancora una volta ad una sensibilità e musicalità che appartiene alle terre toccate dal ‘Mare Nostrum’.
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La recensione Che il Mediterraneo sia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-09-06 00:00:00
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