Un secondo disco affascinante e ricco di spunti, in cui il coraggio e la bravura di Uyuni sono garantiti e percepibili fin dalle prime battute.
La metafora del viaggio può dirsi decisamente inflazionata per descrivere un disco. Non intendo viaggi alcolici o stupefacenti, ma veri e propri viaggi stile National Geographic, affascinanti e avventurosi, dalla fotografia iper-realistica, tanto da farti percepire i profumi, le voci e le atmosfere di meravigliosi posti sconosciuti.
Australe è esattamente così: un viaggio lungo 8 tracce che ti accompagna dalle sonorità dei raag indiani al folk e al blues spudorati delle praterie, lasciando spaziare la fervida immaginazione degli ascoltatori. Le parole sono poche e ben dosate, regalando spazi sterminati a visionarie tracce strumentali che in durata e struttura melodica ricordano l’impostazione prog-rock di una volta. Il filo conduttore che tesse la trama di questo disco è unico e chiaramente percepibile, l’elettronica; come se "Australe" fosse un’astronave che ti catapulta da un capo all’altro del mondo in un battibaleno e gli Uyuni un trio di alieni della musica che ti guidano in questo viaggio visionario.
L’album si apre con l’India, il profumo di curry e gli esercizi di meditazione di “Australe I”, che prepara l’orecchio alla chitarra simil-sitar di “Ojos del Salar”; pezzo strumentale dalla durata prog e dalle distorsioni elettroniche che dopo poco più di un minuto e mezzo ti lascia solo con una bellissima chitarra che ti ricorda qualcosa che non hai il coraggio di nominare e ti vien quasi timidamente da canticchiare tra te e te "There's a lady who's sure all that glitters is gold…", ma poi ci ripensi e ritorni con la testa all’India e agli elefanti.
Mentre “Molte volte niente” è il più struggente pezzo della tracklist, un delicato blues alla Mark Lanegan di “Snake song” con il pianoforte al posto della voce di Isobel Campbell, “Albero” sfoga tutto il folk bucolico che si possa immaginare, con un testo che descrive scenari naturali alla PFM di “Impressioni di settembre” e un banjo che magistralmente alleggerisce l’ascolto dell’intero disco. Il trittico folk & blues di "Australe" si chiude con “Knocknarea”, piacevolissimo strumentale dalle sonorità e il calore de “Gli anni del malto”di Umberto Maria Giardini.
Con “Parallasse” e “Qualcosa a cui non pensavi da tempo” la contaminazione strumentale tra blues, elettronica continua creando dei veri e propri “pezzi-ponte” che legano queste due identità dell’album così difficili da accostare con successo, rifinendo l’intera trama.
Un secondo disco affascinante e ricco di spunti, in cui il coraggio e la bravura di Uyuni sono garantiti e percepibili fin dalle prime battute.
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La recensione Australe di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-01-30 00:00:00
COMMENTI (2)
Grazie!
Davvero bravi gli uyuni, e davvero bella la recensione!