Tre tracce sono poche per decidere l’esito di una sensazione. Tre tracce sono abbastanza per decidere che il loro ascolto non provocherà quella reazione interiore che produce un’emozione. L’emozione indispensabile a stimolare una recensione ispirata. E’ necessario ascoltare una melodia che crei un ponte, anche per brevi istanti, tra sensi cuore e cervello o è necessario scontrarsi con una musica a tal punto brutta da asfaltare una strada tra mente e bile, ma che porta comunque vivaci e stimolanti brividi di fastidio…Non mi è necessaria questa musica, inoffensiva, che si autodefinisce indie-rock aumentando il senso di vaghezza, di contorni poco definiti da rimarcare in ogni caso con una minima voglia di “aggravarsi”… Un primo brano in italiano, orecchiabile, che presenta subito la qualità della formazione: il cantato intenso e pacato, che a volte indulge troppo sull’aspirazione delle vocali, ma che risulterà nell’arco delle tre tracce sempre efficace. Intorno un’atmosfera brit-pop, echi Cranberries, passaggi strumentali che perdono tempo e arrivano a “20 years”, piacevole e omogenea, dove l’inglese aggiunge sfumature alla voce (che ricorda molto un certo Ke), ma che non viene sempre sostenuta dagli strumenti (in particolare la chitarra dovrebbe cercare effetti più pieni) facendo sembrare la canzone a tratti svuotata . “Take the long road” si apre con un riff di chitarra in stile Vasco e si riempie con una batteria invasiva, che insiste sul ride, che accelera e cambia ritmo perdendosi in un delirio di virtuosismi sul finale. Una bella voce, dunque, e strumenti che cercano incisività. Linee melodiche garbate, dolci e orge di batteria avulse dalla delicatezza delle canzoni. I piatti della bilancia sembrano essere perfettamente in equilibrio. Abbandonarsi nelle braccia di qualcuno necessita comunque di una pendenza…
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La recensione EP#1 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-09-14 00:00:00
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