Il testamento spirituale di Claudio Rocchi, su musiche e concept di Gianni Maroccolo. Bello.
Originariamente uscito solo su Musicraiser per chi avesse sostenuto il progetto, ora “Vdb23/nulla è andato perso” esce per Ala bianca ed è quindi, potenzialmente, disponibile per chiunque. Per chi non sapesse ancora di che si tratta, cercherò di ricapitolare in breve: improbabile incontro tra una colonna della new wave e del rock anni '90 italiani (Maroccolo, Litfiba, CCCP, CSI) e una della psichedelia classica degli anni '70, a torto spesso accomunato al progressive con cui, in realtà, ha avuto poco a che spartire (Rocchi); il lavoro nasce come addio alla musica creata da parte di Maroccolo. Conosciuto per caso Rocchi, gli chiede di scrivere qualche testo: gli manda i file di un paio di suites e di qualche canzone, indicando queste ultime come quelle su cui puntare. Inaspettatamente, dopo un paio di giorni Rocchi si fa vivo coi testi. Delle suites. E funzionano.
Il progetto prende corpo: musiche di Maroccolo, melodie e testi - molto molto belli, come sempre - di Rocchi. Ma su un concept di Maroccolo: una ricapitolazione della propria vita, dai tempi di via de’ Bardi 32 (ecco l’acronimo “vdb”), la sala prove in cui si formarono i Litfiba. Un addio alla vita musicale, appunto, con tanto di puntata nel privatissimo: la morte del padre di Maroccolo, narrata in “LD7M (Les Dernierès Sept Minutes de mon Pere)”. Ed ecco il colpo d’ala di Rocchi, intriso di sapienza spirituale indiana (è stato Hare Krishna per circa 15 anni): perché 32? E perché invece non 23, numero che indica la rinascita? Questo progetto non si sta forse trasformando nella rinascita artistica di Maroccolo? Ed ecco quindi “vdb 23”. “Nulla è andato perso” nel senso sapienziale per cui ogni esperienza serve comunque a formare l’io di oggi. Ecco quindi giustificata, anche dal punto di vista concettuale, la presenza di un gran numero di ospiti, legati a Maroccolo: Miro Sassolini, Cristina Donà, Cristiano Godano, Ivana Gatti, Piero Pelù, Massimo Zamboni, Emidio Clementi, Ghigo Renzulli. Come dire: gli esordi fiorentini, i tempi dei Litfiba, quelli dei CCCP, quelli di Sonica e del Consorzio Produttori Indipendenti, le etichette fondate da Maroccolo, della carriera solista.
Ma poi c’è anche Franco Battiato: un trait d’union tra Maroccolo e Rocchi, del quale Battiato è stato amico nei primi anni '70 e con cui ha condiviso, pur su strade parallele ma non coincidenti, la stessa ansia di ricerca musicale, spirituale ed esistenziale. E qui veniamo al punto: perché Rocchi, malato della malattia degenerativa incurabile che lo ha portato alla prematura scomparsa, parlando dell’addio di Maroccolo alla vita artistica, parla di se stesso e del proprio addio alla vita tout court. E così come ribalta la volontà di smettere di Maroccolo (nel frattempo infatti tornato in pista), così fa con il terribile appuntamento che lo aspetta, invocando la luce e la rinascita.
Il percorso del disco è chiaro anche musicalmente: da un inizio cupo e volutamente caotico, progressivamente, non senza contraddizioni, ma inesorabilmente, si avanza verso oasi di serenità, in un incontro felice tra i retroterra dei due (anche se i brani di Maroccolo portano spesso Rocchi e gli ospiti a cantare un po’ come Ferretti, un altro che ha dimestichezza con la misitca). Pur non essendo un album al livello delle migliori produzioni dei due, è comunque notevole, anche per la sua voluta inattualità, che risulta un valore aggiunto. Non mancano picchi di grande bellezza, tanto come squarci nelle suites iniziali, quanto nell’interezza dei tre brani finali. Come diceva Claudio, hugs.
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La recensione Gianni Maroccolo e Claudio Rocchi vdb23/nulla è andato perso di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-03-20 00:00:00
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