Alla ricerca dell'accordo perduto: buone intenzioni, risultati non all'altezza.
Primo lavoro in italiano per i milanesi Plunk Extend, dopo altri due in inglese, “American Glories” (2011) e “Marvellous Kaleidoscope Rollercoaster” (2013). Come nei lavori precedenti, la carne al fuoco è tanta, a partire dai titoli, “Prisma” per l’ep e “Blu”, “Nero”, “Bianco”, “Rosso”, “Verde” per le canzoni. Ognuno dei colori citati, poi, va a costituire la divisa di uno dei membri della band, con un’evidente aspirazione art-rock. Anche le influenze musicali sono disparate: da una base rock sempre presente, ad accenni hip hop, reggae e raggamuffin’, a una coloritura pop che domina un po’ dappertutto.
Il risultato, però, non è all’altezza di progetto e desideri: i brani scorrono via piuttosto anonimi, gli ingredienti non paiono amalgamati, le liriche paiono troppo letterarie e metaforiche per raggiungere la vera poesia o almeno farsi ricordare, complici melodie che non sono esattamente la definizione di “hook” in musica. Non voglio certo dire che la complessità sia una cosa negativa: decine di capolavori progressive o jazz – che amo – sono lì a smentire questa possibilità. È che questo dei Plunk è semplicemente un disco irrisolto, in cui si percepisce lo sforzo di creare qualcosa di personale, a metà strada tra pop, rock e canzone d’autore, ma anche come, almeno per il momento, la meta non sia raggiunta. Dall’anonimato generale si salvano i cori, che i Plunk Extend usano davvero bene, e la conclusiva “Verde”, che possiede un bel riff di chitarra acustica – questo sì un hook! – e un arrangiamento che si fa ascoltare. A mio parere la strada da seguire, ricercando l’immediatezza nei testi. Leggete Prevert, uno che usava parole banali e diceva cose bellissime.
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La recensione Prisma di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-01-23 00:00:00
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