Nicola Barghi
Elettroshock 2014 - Rock, Pop, Britpop

Elettroshock

Il quinto album del cantautore toscano è un viaggio affascinante nel pop (peccato per il finale)

Metti un pomeriggio primaverile tenue, di quelli che vorresti non finissero mai. In sottofondo, la musica giusta. Uscito in pieno autunno, il nuovo lavoro del cantautore e polistrumentista toscano Nicola Barghi ha quel sapore fresco e lieve che solo le giornate piacevolmente tiepide sanno regalare. Il quinto album in studio del musicista di Ponsacco è un viaggio in grande stile tra le venature del pop: quattro anni dopo “Sunny day”, Barghi ritorna alla grande con un album (quasi) interamente in inglese.

L’inizio del disco è esplosivo: “We felt fine” è un pezzo da 10 e lode. Un pop rock molto british in cui funziona tutto: melodia intrigante, ritornello che entra in testa, arrangiamento senza sbavature. E se il prologo è perfetto, il resto mantiene, bene o male, la stessa linea: la beatlesiana “A show” ha un andamento molto lineare, con i coretti in sottofondo che le danno un particolare carattere oldie. La successiva “Blow Away” è un’altra gemma: l’intro di piano introduce una bella ballata dal refrain coinvolgente. Dopo la piacevole “Don’t take it bad”, però, il disco ha un momento di pausa con la cover di “Lonely boy”. Nonostante sia ben suonata, la canzone dei Black Keys dà una frenata all’andamento piacevolmente leggero del disco. Superato lo scoglio, "Elettroshock" fa una capatina temporale negli States degli anni ‘50: “Little girl” è un piacevolissimo rockabilly alla Buddy Holly molto ben cantato da Barghi.
Ma il ritorno al suono di matrice UK è immediato, e “On the other side” sembra uscita da un disco dei Supergrass. La vera sorpresa però è dietro l’angolo, un omaggio particolare a coloro che più di tutti hanno influenzato tre generazioni di musicisti, i Beatles. L’harrisoniana “Old brown shoe”, una delle ultime incisioni dei Fab Four, viene rimiscelata da Barghi quasi a farla diventare un pezzo elettronico: voce robotica, à la Rockets. Il brevissimo finale cacofonico, poi, è da applausi. Il disco potrebbe chiudersi con la dolce “Night again”, ma le inutili “Bugie” ed “Elettroshock”, versioni in italiano delle precedenti “A show” e “We felt fine”, fanno inspiegabilmente da coda al disco. Un vero peccato per un album gustoso, da assaggiare tutto d’un fiato.

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