Riff pesante, linea ritmica incalzante con stacchi intelligenti, distorsioni massicce e l’ingrediente migliore di tutti: la presa diretta.
Indubbiamente fedeli all’hard rock, con qualche striatura in tinta stoner, gli Intimissimo, power trio di Lodi, esordiscono con il loro primo album ufficiale, l’omonimo Intimissimo.
Sette tracce prepotenti, cattive, dove il riff domina sovrano l’intera impalcatura musicale, studiata ed altamente funzionale a catalizzarne l’importanza. Contrariamente alla tendenza generale, che vede nella prima traccia la scelta migliore per fornire un valido biglietto da visita, "Give Me Some Sugar Baby" è forse fin troppo intimissima, complessa e strutturata su più livelli. Si può apprezzare pienamente e per come meriterebbe con il secondo ascolto dell’album. "Renegade" è sicuramente il brano migliore, ha tutto quello che si vuole sentire da una band del genere: riff pesante, linea ritmica incalzante con stacchi intelligenti (indubbiamente una qualità rara), distorsioni massicce e l’ingrediente migliore di tutti, la presa diretta. Non c’è modo migliore di esaltare il rock sincero, quello sudato e col sangue lasciato sulle corde, della presa diretta, sintomatica della genuinità e della sincerità dei propositi del trio. "Tears Valley" è la più QOTSA del disco, una citazione d’obbligo quando si fa stoner. Ma tracce come "Machete Don’t Text", o "1,21 Gigowatt", sono dotate di uno schema, una struttura, un quid che li vorrebbe con una voce, brani che sembrano concepiti per avere anche il cantato, probabilmente con il tempo arriverà anche lui.
"Intimissimo": un album solido, sincero, vero. Gioca sulle corde dell’adrenalina, più che un disco d’ascolto sembra essere stato (auto)prodotto per far muovere la gente, facile quindi presumere che la resa live sia un punto di forza della band.
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La recensione "Intimissimo" di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-05-11 00:00:00
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