L’interessante mood sonoro di questo disco ci fa gustare bocconcini di progressive, blues, country e folk mantenendo una visione d’insieme che, sebbene pluridirezionata, non si perde in banalità di accostamenti e disordinati concetti in musica. L’avevano anticipato col precedente lavoro che si stessero muovendo nella giusta direzione di un sound apparentemente svogliato, malinconico, di attitudine rock e digressioni folk. Ora I Salici mettono a fuoco l’originale natura ruvida, convulsa ma anche dolce, onirica degli esordi, alla ricerca di combinazioni più mature e consapevoli, senza camuffarsi in finti trucidi dal cuore tenero.
La confezione dà il tono a dieci tracce scritte in lingua inglese, attraverso un folk-rock concitato e dalle delicate venature melodiche, suonando strumenti poliedrici che concedono colpi di stile al lavoro: e-bow, tar, viella, ghironda, corno djambè, marranzano, basso tuba. Contornati inoltre da una voce di fango, ruvida, cresposa e da chitarre che picchiano intonando le più innocenti suggestioni. Seminando luce, alcuni brani del disco ("Fernando", "Wild one", "Mariutta", "Louder so") illuminano di morbidezza, ariosità ma anche di ansia e sottile malinconia mostrandoci un volto chiazzato di lacrime e sorrisi.
Dunque un disco dall’impasto musicale acrobatico e ricercato, in cui si entra con attenzione per ascoltare se si fa davvero sul serio. E quando se ne ha la conferma si ride di un sorriso sincero, illuminato di luce e di ombra. Altrimenti sempre la luce, sai che noia…
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