In breve, “Adagio furioso” rivela per intero il peso specifico dei Ronin. Non è poco, visto che si parla di un gruppo fondamentale. Qui dentro c’è quello che ci si aspetta da loro - o meglio, quello che di buono ci si aspetta da loro - dalle chitarre reiterate e immaginifiche alle batterie un po’ sonnolenti e un po’ euforiche. Basterebbe questo per inquadrare un album di mestiere sopraffino e di portata rilevante. Ma in realtà il discorso non si può esaurire qui.
È piuttosto banale se non stupido da dire - sono i Ronin, tutti sanno che musica fanno - ma “Adagio furioso” è un disco cinematografico, forse il più cinematografico tra i lavori della band di quell'omone inquieto di Bruno Dorella. È il modo con il quale è stata concepita la successione dei brani a far pensare a una sequenza di eventi, a un susseguirsi di stati d’animo, a una concatenazione di cause ed effetti. I suoni si alzano e si abbassano come se stessero seguendo un racconto non detto che però sembra pronto per essere messo in pellicola. Non è un caso, insomma, che la scaletta cominci adagio (“La cinese”) e finisca furiosa (“Ex”), tenendo proprio nel mezzo del cammino il colpo di scena che cambia le prospettive (“Far Out”). Un noir perfetto. O un western.
Questi tre episodi sono peraltro quelli che in qualche modo dettano gli schemi e mostrano i Ronin al massimo delle loro possibilità. “La cinese” ha un incipit di una classicità disarmante. C’è la chitarra solenne che fa da regia e tiene in pugno le redini dell’intera band, coadiuvata da Nicola Manzan (Bologna Violenta) agli archi. “Far Out” è l’unico pezzo cantato ed è il capolavoro del disco. La voce di Francesca Amati dei Comaneci è raffinata e splendida mentre dietro di lei il gruppo suona una musica dolente, di quelle che vanno forte dalle parti di Twin Peaks. “Ex” ha un andamento strano: slowcore inconsueto ed elegante che nel finale piazza una botta hardcore violentissima e azzeccata. Adagio furioso, appunto.
Nella nuova vita dei Ronin c’è sempre l’amore per le storie desertiche dei Calexico, per una solennità che non è peccato definire morriconiana e per una visione particolare del post rock che implica meno sfarzo e più concretezza. I Ronin creano un album che ha un’identità e una consapevolezza artistica per nulla scontata. Non smuove più di tanto i fondamentali di questo progetto ma ne consolida lo stile grazie a una serie di brani ragionati e appassionati. Una certezza che non ha più bisogno di conferme.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.