Silvano Staffolani
...di paesi, persone e animali 2014 - Cantautoriale, Pop, Acustico

...di paesi, persone e animali

Un cantautore d'altri tempi diventa menestrello ai giorni nostri, intrecciando passato e presente

Non ho mai amato troppo la letteratura latina quando, al liceo, mi obbligavano a studiarla; ad ogni modo qualche ricordo positivo che la riguarda mi è rimasto impresso nella mente: il "De rerum natura” di Lucrezio ad esempio. Si tratta di un poema didascalico nel quale l'autore ha cercato di rappresentare la natura e l'uomo, spesso, suo malgrado, travolto dalle proprie passioni. Tutto ciò per dire che “...di paesi, persone e animali”, secondo lavoro del cantautore marchigiano Silvano Staffolani, non si allontana troppo da questo nobile intento, e appare come una sorta di piccolo resoconto cosmico in sedici canzoni. L'album, interamente prodotto e registrato dall'autore, forse con arrangiamenti e strumenti “ancora più professionali”, sarebbe messo in risalto in maniera migliore; il risultato che ascoltiamo è comunque ben assemblato.

Innamorato del passato – sono presenti anche due interessanti adattamenti di testi di William Shakespeare, tradotti e musicati, “Calibano” e “Il canto di Ariel” - ma allo stesso tempo coerentemente ancorato nel presente - “Formiche” è introdotta dai rumori della modernità ed è la trasposizione della frenesia che muove gli uomini di oggi – chi firma questo disco è perennemente in bilico tra ieri e oggi. L'impronta teatrale dell'ossatura artistica è molto forte, soprattutto nelle liriche scritte da Bruno Trillini, paroliere di morti brani: per la quasi totalità del lavoro infatti, teatro-canzone e folk costituiscono la chiave che permette di aprire numerosi cassetti della memoria, quelli di una vita intera già goduta, ma anche in parte quelli di un'esistenza tramandata dal racconto. L'unica parte che perde il tiro, dove l'intento iniziale viene meno forse a causa della sperimentazione linguistica, è quella cantata (non troppo bene) in inglese (”Time flies” e “The Sun, the clouds”).

Decisamente meglio la ballata bohémienne “Se perdre à Paris”; tutto un altro mondo riaffiora però quando si rimane in territori nostrani, come ad esempio accade nell'introspettiva e onirica conclusione intitolata “Da quando ti ho dimenticata”. Un plauso va dunque a Staffolani il quale, con chitarra acustica ed ukulele a donare autenticità e gentilezza ad ogni suo brano, si potrebbe definire un cantautore d'altri tempi che diventa menestrello ai nostri giorni, facendo proprie le importanti lezioni dei mai dimenticati Gaber e De Andrè.

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