Difficile descrivere un gruppo come Le Muffe a qualcuno che non li abbia mai visti dal vivo. Un po' perché il loro leader, universalmente conosciuto come "il Pipa", è tipo tanto strambo quanto magnetico, di quelli a metà tra i matti di paese e le enciclopedie musicali viventi. Un po' perché il loro modo di suonare è talmente grezzo, verace, strafottente verso tutto e tutti, che se non è punk questo ditemi voi cos'è.
Anche perché loro non hanno mai detto - a differenza di tanti altri fighetti con la cresta - di fare punk. E tecnicamente non lo fanno neanche, visto che il loro suono è più un misto tra beat anni Sessanta, garage (da cui proviene il Farfisa che fa la parte del leone nelle loro canzoni) e prog. Con proprio una spruzzata di Oi!, se vogliamo, nel cantato. Ma i riferimenti sono tutto fuorché punk, tant'è che in formazione non hanno nemmeno la chitarra. Basso, batteria e appunto organo Farfisa (o Vox, a seconda dei pezzi), cori ridotti al minimo e rigorosamente all'unisono.
Un immaginario che si divide equamente tra fabbrica ("Un pezzo, un culo"), ligera ("Adamo", "Milano non è casa mia") e deliri mistico-tombali ("Demonio", "Caffè"), con punte di sagacia disseminate in un registro lessicale che si mantiene volutamente essenziale. Come essenziale è, s'è già detto, il suono, ossessivo e nervosissimo, a tratti anche respingente, straniante, in una parola punk. Zero pose, zero fronzoli, tutto prendere o lasciare. Per quel che concerne il sottoscritto, è prendere, senz'altro.
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