Immaginiamoci immersi nella canicola di un pomeriggio affocato d'estate. Abbiamo inforcato la bici e ora vagabondiamo su una strada deserta, disegnando curve e ondulazioni con le ruote, sotto un cielo dal colore indefinibile. L'asfalto riverbera calore mentre qualche rara goccia cade senza che il tempo si decida per la pioggia: "Un cielo grigio sulla tua testa / La nausea sale e ti investe ".
Ecco ad un angolo di strada ci sembra di vedere - come un miraggio - Howe Gelb che dondola la testa dietro il finestrino socchiuso di un pick-up. Con i Giant Sand al completo accoccolati dietro, sul rimorchio - il cappello a falde larghe in testa e le chitarre acustiche che sfringuellano. Accendiamo una sigaretta. Poggiamo la bici ad un cactus - prestando attenzione a non bucare le ruote! - e sostiamo ad ascoltare. "Un pomeriggio è andato ormai / sciupato male come sai".
Con il solo ausilio d'una chitarra, d'una voce acerba leggermente riverberata ed un pugno di canzoni scarne, Alberto Mancinelli traccia con nettezza la sua geografia immaginaria. La sua scrittura unisce sapientemente tradizione folk americana e canzone d'autore. D'origine siciliana, vive a Padova. Nella sua musica e nella sua voce rivive l'atmosfera delle sue terre. Magari filtrata attraverso l'esempio di Bob Dylan, o di Neil Young, che compare in chiusura con una cover ("Pardon my heart"), assieme a Nick Cave ("Are you the one that I've been waiting for?"). Malgrado la grandezza dei modelli cui Alberto si rapporta, le canzoni originali brillano d'una luce propria. Fra tutte direi che "Invisibile" è forse la più riuscita, mentre mi convince meno il respiro politico di "E tutto sembra normale" - pur condivisibile nei contenuti ("quando vedi demolire le tue quattro certezze / dai sorrisi del tuo presidente operaio"). Dovessi fare un nome italiano per descrivere il lavoro d’Alberto, direi che mi ricorda il De Gregori impegnato ma ancora poetico degli inizi - di "Alice" o di "Niente da capire".
Alle sue "Canzoni sgangherate" Alberto allega un precedente lavoro dei Bayons, ottima band in cui militava prima di dedicarsi a questi "Padua recordings" (la dizione non vuol essere affatto ironica!). Sempre di rock «desertico» si tratta, ovviamente, ma l'impressione generale è che con i Bayons la pur ottima amalgama degli strumenti a volte soffochi l'impianto delle canzoni del Nostro: mi sembra cioè che nella dimensione pienamente cantautorale di quest'ultimo cd-r egli riesca ad esprimere migliori potenzialità. Alberto qui compie il piccolo miracolo di ispessire una canzone spogliandola d'ogni orpello. In tempi di grandi sofisticazioni sonore non è cosa da poco. Il compianto Johnny Cash insegna.
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La recensione Canzoni sgangherate di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-09-30 00:00:00
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