Se davvero il 2014 è stato l’anno della “scoperta” dello stile africano nella musica italiana (vedi Clap! Clap!, Populous o C’mon Tigre), non poteva che concludersi con l’uscita dell’ultimo lavoro dei The Bank, band italiana che nel 2010 si è trasferita a Lagos, in Nigeria. Lì ha deciso il nome, si è formata e ha composto il primo album, "Upper Class", in seguito scoperto e prodotto dalla londinese Bear Funk di Stevie Kotey. L’ultimo "Europa Center" è prodotto dalla Ambassador’s Reception, un’altra etichetta sempre di Kotey.
Trasferirsi a Lagos significa trovarsi nel luogo natale dell’afrobeat, quel genere, misto di funk, jazz e musica nigeriana tradizionale che sta subendo un’enorme riscoperta da parte di etichette internazionali (una su tutte: la Luaka Bop di David Byrne innamorata del nigeriano William Onyeabor). Significa anche essere catapultati in una delle realtà in più rapida trasformazione del mondo. Significa apprendere un retroterra di tradizioni, di storie e di linguaggi con cui comunicare sia direttamente sia trasversalmente. Lo stesso simbolo dello zombie, tanto usato dai The Bank, è quasi una cifra stilistica dell’afrobeat, almeno da quando il fondatore del genere, Fela Kuti, non pubblicò l’album "Zombie", usando quest’immagine per attaccare il governo nigeriano. Un messaggio ideologico, se non politico, tramite la stessa immagine è – forse – suggerito nei lavori della band italiana, ma mai palesato.
Le tracce di "Europa Center" ripercorrono le orme del funk, della disco e dell’afrobeat. Ma non bisogna pensare che si fermino soltanto a guardare indietro: i ritmi dance e le sferzate di groove ne fanno delle tracce perfette per qualsiasi pista da ballo moderna. "1989", la conclusiva, mostra in effetti questa duplice tendenza: da una parte, nel titolo e nello stile, un revival tanto acceso da cascare nella categoria di Retromania, dall’altra un’attitudine al remix e alla rielaborazione. "Shake it Like a Zombie" e "San Francisco" sono tracce di cui innamorarsi grazie alla proficua collaborazione con Jeff Jones, ma anche ai richiami blues. "Dive Bar", "Berliner" e "Prinzlauaberg Am Sonntag" (per ricordare che l’album è stato registrato a Berlino), sono perfetti esempi di afrobeat moderno.
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