Un viaggio intenso e oscuro fra elettronica e shoegaze
Atmosfere cupe, spazi profondi ma stretti dove tutto sembra buio e privo di uscita. Ecco come suona “Dylar”, elettronica quasi minimale accompagnata da reminescenze shoegaze, un incedere felpato e misterioso (“This Room”), quasi ossessivo e ripetitivo e lo spazio che ci circonda appare come un luogo angusto che ci imprigiona. Il basso cupo si lega bene alle chitarre in uno sfondo di inquietudine che quasi disturba (“In the Opposite Way”) e i suoni si fanno spazio delicatamente fra arpeggi leggeri e fiati profondi ("Sink with Me”). Le atmosfere diventano poi oniriche ed evanescenti, poche parole ripetute come fossero una preghiera (“Blue” e “Changing Views”), essenziali ma cariche di significato, testi brevissimi che si stendono su un tappeto scuro di synth e archi (“Hold Me”) e le tinte shoegaze fanno ora capolino, il basso si fa denso e le chitarre elettriche suonano lontane (“Tide”), fino a diventare sempre più simili ad un’eco dreamy (”Shadow Line”), poco prima che l’elettronica sottile torni a pulsare come i battiti accelerati del mio polso (“Mine”).
Snow in Damascus! ci portano all’interno di un viaggio quasi claustrofobico ma intenso, oscuro e sensoriale dove l’elettronica si fonde a tratti shoegaze, un disco ben fatto che a volte incappa in episodi forse troppo pesanti, ma comunque indirizzato verso una strada ben precisa che la band ha deciso di percorrere.
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La recensione Dylar di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-01-21 00:00:00
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